Dylan Dog Color Fest #54: Estranei – Quando gli altri siamo noi
Ad agosto arriva in edicola un nuovo Color Fest con due storie inedite, una firmata Mirko Perniola e Paolo Massagli, l’altra da Nicolò Pellizzon
«L’“altro” è definito per distinzione, rispetto a qualcuno o qualcosa genericamente intesi, e presuppone l’esistenza di una o più opzioni percorribili».
Così apre Barbara Baraldi, la curatrice di Dylan Dog, il nuovo Color Fest, Estranei, edito da Sergio Bonelli Editore e arrivato in edicola sabato 9 agosto.
Il tema che lega i due racconti è l’“altro”: non solo inteso come qualcuno diverso da noi, ma anche come parte di noi stessi. Entrambe le storie affrontano questo concetto con un approccio che mescola psicologia, sogno e immaginario.
Nostalgia del sangue è la prima storia in cui ci s’imbatte, scaturita da soggetto e sceneggiatura di Mirko Perniola, già sceneggiatore in casa Bonelli.
Il racconto prende avvio da un impianto poliziesco anni ’70: un vecchio caso irrisolto e un mostro mai catturato. L’indagine, però, è solo un pretesto per indagare dinamiche interiori quali la coesistenza di diverse parti di sé. Normalmente l’esistenza di un “altro” presuppone una crescita nel rapporto, una conoscenza del diverso per aggiungere qualcosa anche a noi stessi. Ma che succede quando l’altro siamo noi?
A supporto di questa storia ci sono i disegni e i colori di Paolo Massagli, che sono un piacere da guardare e da riguardare anche una volta terminata la lettura. Massagli alterna parti realistiche e vivaci ad altre, quelle legate al mostro, più cupe e buie, mostrando di padroneggiare il genere: il disegnatore, infatti, ha già lavorato per case editrici specializzate nell’orrore come Hollow Press e Cut-Up Publishing.
L’idea di fondo è interessante e ben costruita, sebbene lo sviluppo dei personaggi risulti un po’ contenuto a causa della lunghezza ridotta della storia, circa la metà delle tavole di un albo della serie regolare. In tal senso, la comprimaria Tracy avrebbe potuto essere caratterizzata in modo più definito, così da sostenere meglio il peso del conflitto finale, in cui assume un ruolo più centrale rispetto all’indagatore dell’incubo. Non conoscendo appieno le motivazioni della ragazza, però, lo scontro lascia la sensazione che qualcosa non sia del tutto compiuto.
Nonostante questo, la narrazione resta coinvolgente, sostenuta da un soggetto solido e da un comparto visivo che cattura fino all’ultima pagina.
La seconda storia, L’insostenibile leggerezza dell’anima di Nicolò Pellizzon, autore già noto per Lezioni di Anatomia (con cui ha vinto il Premio Boscarato), affonda le sue radici nella psicoanalisi e ci conduce in un mondo onirico popolato da archetipi, che richiama l’analisi junghiana.
Un archetipo è «una struttura di rappresentazione» a priori, o anche come «un’immagine primordiale» e se non può essere rappresentato influenza di meno i valori e le esperienze della coscienza del soggetto. In poche parole, secondo la teoria di Jung, sono immagini che la persona ha a prescindere dalla sua esperienza personale, soprattutto nei sogni, fino ad arrivare a un inconscio collettivo, ovvero una parte di inconscio condivisa da tutti gli esseri umani.
Pellizzon rappresenta l’inconscio collettivo come un piano di esistenza parallelo, esplorato dalla psicanalista Amanda Morris. Un luogo condiviso da tutti, a cui si può accedere volontariamente, attraverso i sogni o durante le sedute, e dove le visioni assumono forme grottesche e significati ancestrali.
In questa storia non ci sono misteri da svelare né mostri da affrontare, ma una discesa graduale nella psiche alla ricerca dell’uomo senza volto, che conduce alla paura più antica, forse precedente agli stessi archetipi: la paura della morte. E al tempo stesso il bisogno di sopravvivere, per continuare a vivere un altro giorno, aggrappandosi alle piccole cose.
Il tutto è accompagnato dai disegni e dai colori di Pellizzon, il cui stile grottesco e le tinte acide si adattano perfettamente al tema onirico della storia. Si ha l’impressione di trovarsi davvero in un immenso sogno collettivo.
Ciò che colpisce di più è l’attenzione ai volti, che in poche vignette passano da familiari a orrorifici, creando un senso di inquietudine e di caducità della vita.
Proprio parlando di Pellizzon, è bello evidenziare come, insieme a Massagli, non faccia parte della scuderia regolare di autori Bonelli. Estranei si riconferma così come parte di una collana dalla natura sperimentale e con la voglia di tentare nuove strade e nuovi stili, ancora più che in altre serie dedicate a Dylan Dog o in altre pubblicazioni della casa editrice.
Questo Color Fest, pur uscendo in pieno agosto, non è una lettura da ombrellone: invita a riflettere, a confrontarsi con se stessi e con ciò che preferiremmo lasciare in ombra, che sia una parte nascosta di noi o un aspetto inevitabile della vita come la morte.