Polifonia, un viaggio emozionante in cui la voce è protagonista
Johnny Mox e Chiara Fazi, unendo musica e arte, hanno creato una storia profonda e intensa, capace di smuovere pensieri ed emozioni con dolcezza e dignità
Decido di leggere questo romanzo grafico mentre ascolto Hide and Seek. O viceversa.
Mi sembra l’unico modo possibile di affrontare la potenza visiva che mi aspetta. Pochi brani scorrono nella mia mente a ripetizione come questo, e da subito il parallelismo mi convince, mi accompagna, mi tiene la mano. Del resto, Himogen Heap parlò di Hide and Seek come di una meditazione sulla comunicazione e sull’assenza, sottolineando come la scelta di utilizzare solo la voce, senza accompagnamento strumentale, trasmetta intimità e vulnerabilità, rendendola un’esperienza profondamente personale sia per l’artista che per chi ascolta. Tutti elementi che accomunano la canzone a Polifonia (Coconino Press, 2025) di Johnny Mox e Chiara Fazi.
Quando un autore e musicista incontra la mano artistica di un’illustratrice come Fazi, il tempo si ferma e rimane sospeso in una dimensione indefinita, fatta di spesse passate di inchiostro e colore. Musica e pittura si fondono alla perfezione, rendendo impossibile non percepire anche acusticamente ogni singola tavola, dall’inizio alla fine. Ciò che è più sorprendente, oltretutto, è la capacità del disegno di intervallare sonorità a silenzio, grazie alle ambientazioni e alla natura.
La storia prende il via in un piccolo paesino di montagna, Grae, dove si trasferiscono Indileni e Koko, madre e figlio immigrati dal Ghana tra mille difficoltà che rappresentano, in un centro abitato così piccolo e sperduto, l’anomalia di un sistema fatto fino ad allora di semplici gesti ripetuti, poche domande e un senso di comunità ristretto, ridotto all’osso della necessità. Il loro arrivo, però, determina grandissimi cambiamenti in quanto Koko rivela presto, prestissimo una dote sconfinata: una voce strepitosa, capace di smuovere l’ordine percepito delle cose fino a quel momento conosciuto dai suoi compagni di scuola, dal suo insegnante, dalle madri del paese. Una voce che genera uno spartiacque tra il prima e il dopo di Grae. Koko entra così ben presto a far parte del coro della chiesa insieme a Indileni, un coro che prende finalmente respiro sotto la loro spinta canora, le loro tradizioni, le loro armonie.
La vita, dopo i dolori patiti e le atrocità subite, sembra ritrovare un senso attraverso la musica, o meglio, le voci. Koko è così intenso, così in balìa di questo slancio vitale da non saper gestire le forti emozioni: sviene spesso, un giovane Dante smarrito di fronte a una rivelazione più grande di lui, che cambierà per sempre il suo destino.
A plasmare questo giovane uomo, forgiato da un padre violento, da una traversata della Libia, del deserto e del mare e dalla forza di sua madre, una donna sola, non è soltanto il potere curativo e aggregativo del canto, che presto renderà uniti gli abitanti di Grae in modo impensabile; a pungolare il suo animo puro vi è anche la bassezza di un uomo, il Dottor Werner, che si approfitta della sua innocenza. E se il male sedimenta come calcare su una conchiglia, allora il bene ha la responsabilità di sovvertire le regole, rendendo la vita di nuovo degna di essere vissuta.
Tiziano, dapprima amico e poi compagno di Koko, insieme al cugino Chris (personaggio vivacissimo che fa eco all’amato Argyle di Stranger Things) rappresentano quello che significa “lo strappo nel cielo di carta”: grazie a loro Koko recupera tutta la musica per lui ancora sconosciuta, comprende cosa significhi emozionarsi tramite suoni nuovi, lo rende in grado di esplorare e di esplorarsi, diventando una cosa sola con la natura e le persone che lo circondano. Il suo futuro inizia a delinearsi mentre il coro sembra vivere di vita propria, facendo di lui il più giovane direttore della regione, portando un piccolo paese a raggiungere la fama. Le voci di tutti cambiano, diventano più dense, e noi lettrici e lettori percepiamo con calore le sospensioni (letteralmente, date le meravigliose splash page in cui tutto sembra fluttuare in aria, spartiti e persone compresi). Koko ci insegna, man mano, che la musica non è solo note e ritmo, calcolo e matematica: la musica prima di tutto è magia, natura e cosmo - che per lui sono la massima forma riconoscibile di Dio.
Nel mezzo di questo sogno carico di speranza, Koko e Tiziano si innamorano. Si nutrono di sprazzi d’estate, si lasciano penzolare come pipistrelli dai rami degli alberi, germogliano mentre il mondo attorno a loro sembra essere inospitale. Solo il canto è uno spaccato nel quale è consentito loro esistere fuori da ogni pregiudizio. Se da un lato Chris li accoglie con amore e rispetto, dall’altro la comunità inizia a mostrare i primi segni di ostilità. Ci sono regole non scritte nei piccoli paesi. A volte i confini che sembravano abbattuti non sono altro che linee immaginarie da non sorpassare, un monito che ci ricorda che più di questo, oltre a questo, non è consentito pretendere. Come il bordo di un misurino, un goccio più del dovuto può rovinare per sempre l’equilibrio e ciò che ne esce troppo spesso non può fare ritorno all’origine. Poco importa a quel punto dell’impegno profuso per risollevare un coro o un’intera comunità. Poco importa degli sforzi e dell’amore, della generosità disinteressata e del talento al servizio dell’altro.
In Polifonia viene rappresentato in maniera eccellente il senso di profonda scissione che una persona queer (e, in questo caso, nera) sperimenta quando è tempo di decidere come costruire la propria vita e il proprio futuro. Non è possibile spiegare fino in fondo cosa si prova nel percepire ogni fibra di sé divisa a metà, un lato per sé stessi e uno in perenne funzione delle volontà degli altri. La scelta tra chi vogliamo essere e chi possiamo essere per loro finisce per ridurci allo stato estremo di auto-negazione silenziosa, quasi rituale. Con un po’ di fortuna, però, le persone giuste ci aiuteranno a sceglierci, prima di tutto il resto. Koko e Tiziano riescono nella difficile impresa di lasciare tutto alle loro spalle. Di ricominciare altrove. Dove la felicità ha nome, volto e voce. Anche quando il finale della favola non è quello che ci si aspetta.
Polifonia è un racconto che non emerge per una particolare esigenza di raccontare qualcosa di mai raccontato prima. I temi trattati sono caldi nella loro stabilità, intesa come qualcosa di eterno, sempre presente ciclicamente nell’immaginario comune e nell’opinione pubblica e collettiva. Quello che fa, però, è provare a darle un nuovo punto di vista. L’emigrazione e l’immigrazione sono vissute non soltanto come lo spostamento fisico da un luogo a un altro, ma sono anche interiori e vengono ben raffigurate dalle ascensioni del protagonista, nelle sue trance artistiche ed emotive. Il viaggio di un’anima si equivale a quello del corpo, e la musica è il ponte che consente di fare la traversata necessaria al cuore per riposare. Ratigher, curatore dell’opera e direttore della collana Brick di Coconino, sui social ha commentato così la decisione di pubblicare questo libro: “Volevamo una storia di migranti che abbracciasse la complessità del fenomeno, che non solo condividesse l’urgenza umana e politica rappresentata da questa crisi, ma che di questa crisi mettesse in luce molteplici aspetti per liberarla dal rischioso effetto bidimensionale che priva questi argomenti di conflitto, desiderio e in ultimo di idee laterali necessarie per un’effettiva messa in pratica di strategie efficaci, nuove”.
La regia è prorompente, i dettagli sono cinematografici e le inquadrature emozionali risvegliano una vicinanza inaspettata coi soggetti e le scene raffigurate. Il colore funge da elemento di transizione spingendo la narrazione da uno snodo all’altro, corrispondendo con chiarezza e lucidità alle differenti sensazioni che si prefigge di evocare: dal magenta al giallo all’azzurro, dal blu al rosso al nero, dal verde ai colori pastello, ogni cambiamento è motivato e accompagna l’occhio e la mente verso il passaggio successivo rendendo il tutto estremamente fluido. L’uso di metafore è contenuto ma efficace laddove presente: mani che si intrecciano, un albero che cresce all’interno di una casa dai vetri frantumati, una finestra sul cielo di Grae che è al tempo stesso libertà e prigionia.
La ricerca e l’analisi della potenza della voce umana è al centro di tutto, e quando ci si rende conto che il fumetto è il mezzo perfetto per rappresentare questo viaggio, allora nasce la poesia. Quello che può apparire come un ossimoro lascia invece allibiti, perché rende non solo possibile ma reale e tangibile una narrazione difficile da comprendere altrimenti. Il nostro sguardo compensa il suono, lo ricrea, lo plasma seguendo Koko e la sua vita raccontati con grande sensibilità e dignità. Polifonia ha molteplici linguaggi ed è per qualsiasi lettrice o lettore: il capitale umano che viene rappresentato riesce a riunire tutte e tutti sotto un grande tetto fatto di speranze, paure, sogni e dolore, facendo delle nostre voci una sola. “Unisono” è l’ultima parola che chiude questo graphic novel. E all’unisono porteremo con noi la storia di Koko.
Aurora Galbero