Ma siamo ancora qui a parlarne? ~ Pratiche femministe di confronto (a fumetti)
Parlare senza vergogna del proprio corpo e della propria sessualità è ancora tremendamente difficile, nonostante decenni di pratiche femministe. Ma perché? Cleo Bissong prova a darci una risposta. A fumetti, ovviamente
Dobbiamo tornare indietro fino al XIX secolo per trovare traccia dell'inizio della storia del femminismo (chiaramente quello bianco, occidentale e borghese). A questo primo movimento, quello delle suffragette per intenderci, segue poi la seconda ondata del femminismo (sempre occidentale, forse un po' meno bianco e un po' meno borghese, ma siamo lì), quello degli anni '60, '70 e '80, quando si comincia a guardare alle disuguaglianze legate non soltanto al genere ma anche alla classe e alle pratiche di razzializzazione. Si continua negli anni '90 e nei primi 2000, quella che viene chiamata terza ondata, quel periodo cioè in cui si mettono in discussione i limiti - e i fallimenti - dei movimenti degli anni precedenti, e si arriva a oggi, alla quarta ondata del femminismo, caratterizzata dall'uso di internet e dei social per la trasmissione di teorie (anche quelle meno bianche, borghesi e occidentali), la diffusione di pratiche e la creazione di reti anche virtuali, e dall'accentuarsi dell'attenzione nei confronti di altre comunità e categorie marginalizzate che hanno portato a parlare sempre di più - con le dovute, tristi e ormai note eccezioni - di transfemminismo.
Tutto questo pippone - perdonatemi - per introdurre Ma siamo ancora qui a parlarne?, opera che si pone nell'intersezione tra romanzo grafico, memoir a fumetti e manifesto di un femminismo che nasce nella più paradossale delle epoche: la nostra. Nonostante, infatti, quasi un secolo di lotte e nonostante le infinite possibilità di comunicazione e confronto date da internet, non è difficile rivedersi nelle prime pagine disegnate da Cleo Bissong. Sono pagine quasi mute eppure sappiamo benissimo cosa sta pensando la protagonista perché, anche se magari in situazioni diverse, siamo state quella ragazza anche noi.
In quelle prime pagine, la protagonista si trova in palestra e nonostante tutto quello che sa sul femminismo - nonostante tutto quello in cui crede - finisce per mettersi a confronto con le altre ragazze presenti, un'imbarazzante battaglia silenziosa da cui esce sconfitta.
Ma perché, dopo tutto quello che le donne hanno pensato, detto e scritto per decenni sulla necessità scrollarsi di dosso gli stereotipi di genere, la violenza maschilista, le imposizioni sociali eccetera eccetera, nonostante le idee sul body positive e la liberazione sessuale, continuiamo a soffrire per cose che sappiamo essere sbagliate? E perché facciamo così tanta fatica a trovare qualcunə con cui parlarne senza vergogna?
Sono queste le domande che si pone Cleo Bissong e a cui cerca, insieme a noi, di trovare delle risposte. I corpi e le aspettative - mantenute o disattese che siano - sui corpi che vorremmo distruggere ma che sono sempre presenti, insieme ai modelli estetici e comportamentali irraggiungibili che non siamo riuscitə a ignorare e che vengono continuamente riproposti da quegli stessi canali che pure ci parlano di lotta al patriarcato e rivendicazione del desiderio. La liberazione sessuale che si traduce in una sorta di dovere, la possibilità di parlarne sì, ma di farlo ancora, sempre attraverso la lente del piacere maschile, o l'obbligo sociale di performare la propria vita sessuale in modo narrativamente interessante per quelle chiacchierate in cui poi, in realtà, non si riesce mai a spostare l'attenzione su tutto quello che spaventa, ferisce o che semplicemente non riusciamo a capire.
Bissong prende in prestito la pratica femminista del mettere collettivamente in discussione il personale per costruire un confronto davvero sincero e utile, il fare politica partendo dall'ascolto del proprio corpo, dei suoi bisogni e dei suoi desideri.
Il risultato è un racconto fondamentale - soprattutto per le lettrici e i lettori più giovani - che decostruisce le certezze preconfezionate e superficiali, spesso veicolate a mezzo social ma non solo, per mettere finalmente al centro una riflessione quanto mai urgente su come stiamo al mondo e su che tipo di relazioni intessiamo con lə altrə.
Lo stile di disegno è semplice, diretto ed espressivo, quasi cartoonesco a volte, e le figure si muovono libere in ambienti inesistenti o solo accennati, come a sottolineare l'universalità dei loro problemi. Ma siamo ancora qui a parlarne? è un lungo monologo a fumetti in cui l'autrice rompe la quarta parete più volte, riporta alla mente ricordi del passato, si affida a metafore, urla parole che occupano anche mezza tavola, immagina corpi alieni, spaventosi come è spaventoso non trovare la chiave di lettura giusta per riuscire a conoscersi, fantastica su situazioni paradossali perché è solo tramite il paradossi che può raccontare l'assurdità di tanti aspetti del nostro presente.
Claudia Maltese (aka clacca)