Zenit ~ Quanto è labile il confine tra il sogno e la realtà?

Spazi surreali illuminati da cieli impossibili fanno da sfondo al dialogo tra un ceramista e un soffiatore di vetro che cercano di trovare, tra i frammenti della loro vita, il confine tra sogno e realtà


Due uomini si incontrano ogni giorno, quando il sole è allo zenit, ai due estremi di una tavola lunghissima. Mangiano insieme e intanto si confrontano - e spesso si scontrano - su quello che succede loro durante la notte.
Uno dei due lavora l'argilla, l'altro il vetro. Un ceramista e un soffiatore di vetro, entrambi alle prese con un mistero che sembra non avere risposta: chi distrugge il loro lavoro durante la notte?


La prima cosa che colpisce nel lavoro di María Medem è sicuramente l'uso del colore e la costruzione degli spazi. Se è vero che molto spesso si tratta di elementi che hanno un enorme significato narrativo all'interno di un fumetto, per Zenit possiamo dire che sono fondamentali.

Quando arriva allo zenit, il sole è piccolo e rosso, e si stacca nettamente su un cielo che indossa sfacciatamente i colori di un tramonto impossibile. Le tinte piatte e i colori netti rendono ancora più stranianti gli spazi immensamente ampi in cui i personaggi si muovono, quasi si trattasse più di superfici geometriche che si intersecano obbedendo a qualche funzione matematica che materia reale, solida, capace di prendere e mantenere il suo posto nello spazio.


Su questo palcoscenico surreale che schiaccia lo spazio sulla dimensione onirica, tempo e identità si adattano a rinunciare alle loro dimensioni, scorrono fluide nel corso della narrazione. Succede che a volte non sia chiaro se a parlare è il ceramista o il soffiatore di vetro. Ma ha importanza? Le loro esperienze si somigliano, i loro sentimenti scorrono da un animo all'altro, da un corpo all'altro. Per entrambi la notte, il sonno e il sogno sono belve selvagge e incomprensibili, che agiscono senza rispondere a una logica, lontano da sguardi che possano testimoniare e provare a interpretare le loro azioni. Al mattino, i resti della notte trascorsa si coagulano dei frammenti delle opere distrutte. Chi li rompe? Perché lo fa? Dove si trova il confine tra il sonno e la consapevolezza, tra il sogno e la realtà? E come riescono i corpi ad attraversarlo tante volte fino a frammentarlo, concedendo a uno di scivolare nell'altra?


Non so fino a che punto si possa definire Zenit una narrazione, una storia vera e propria, è più una lunga serie di suggestioni e immagini che alterano il concetto stesso di spaziotempo (anche la costruzione delle tavole suggerisce un ritmo sincopato: a volte microvignette inseriscono particolari all'interno di immagini più ampie, altre volte la griglia si divide in spazi di diverse dimensioni, insistendo su un dettaglio, rallentando e accelerando il ritmo del racconto) traslando i personaggi su un piano surreale, lasciandoli preda delle loro domande, immersi in una realtà frammentata che contagia le loro stesse identità.

Claudia Maltese (aka clacca)

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