Dario Sicchio: i fumetti, i progetti e... i dettagli
Lo sceneggiatore romano racconta il suo percorso, dai webcomic ai fumetti in edicola passando per l'adattamento di un romanzo
In questa intervista abbiamo chiesto allo sceneggiatore romano, cofondatore dello Studio Panopticon dove lavora come montatore audiovisivo e si occupa di produzioni multimediali, di condividere alcune considerazioni circa il suo percorso, prima da appassionato poi da fumettista di mestiere, sui suoi progetti passati, presenti e futuri e sul suo modo di vedere il fumetto come mezzo comunicativo.
Ciao, Dario. Partiamo dal principio: come è avvenuto il tuo primo approccio con il fumetto?
Difficile a dirsi. Ho sempre letto fumetti, da che ho
memoria. Entrambi i miei genitori sono lettori di fumetti di vecchia data, per
cui ne sono circondato sin da quando ero piccolo (leggevo soprattutto Asterix,
Lupo Alberto e gli adattamenti a fumetti della serie animata di Batman). Da lì
il mio interesse non ha fatto che crescere e le mie letture non hanno fatto che
ampliarsi, fino alla situazione attuale, in cui casa mia è letteralmente invasa
dai fumetti e devo tenere un quaderno degli acquisti per non spendere tutto
quello che ho in fumetteria. Con premesse del genere, direi che il maturare del
mio amore per i fumetti in un interesse professionale sembra una conseguenza
abbastanza inevitabile.
Quali ritieni siano stati i
momenti fondamentali che ti hanno reso lo sceneggiatore che sei oggi? Quali
letture incontri, letture, eventi?
Oddio, questa è una domanda pericolosissima da fare a un
logorroico come me. Soprattutto perché è una domanda la cui risposta può essere
infinita.
Ho sempre letto fumetti e ho sempre voluto farli. Da
piccolo disegnavo in continuazione, anche a scuola durante le lezioni.
Centinaia e centinaia di pagine. Poi, per qualche motivo, la mia passione per
il cinema ha preso il sopravvento e (avendo forse difficoltà a immaginare il
fumetto come un vero e proprio mestiere) ho deciso di indirizzare il mio
desiderio di raccontare storie su quel medium, per cui stilai un bel piano di
vita secondo il quale, dopo il liceo, avrei frequentato il triennio al DAMS di
Roma 3 per poi iscrivermi al Centro Sperimentale di Cinematografia, seguendo il
corso da regista o quello da sceneggiatore. Ma una volta all'università
(durante la quale ho frequentato quanti più laboratori di sceneggiatura mi
fosse possibile) questo piano iniziò a scricchiolare nella mia testa. Non so se
era il mio interesse per il mezzo a scemare, o se fosse colpa di tutte le
esperienze che mi avevano fatto intravedere l'ambiente lavorativo
cinematografico e tutte le sue storture... comunque sia, la mia voglia di
imbarcarmi in una simile impresa non faceva che precipitare. Nel 2012, poco
prima di laurearmi, andai per la prima volta al Lucca Comics & Games e lì
decisi di darmi una chance come sceneggiatore di fumetti (un desiderio che
avevo sempre avuto). Tutti quelli che avevo intorno mi sostennero molto in
questa scelta. La mia ragazza mi fece un regalo che cementò questa mia
decisione. In sostanza, per mesi, si era messa a contattare decine di autori di
fumetti fra quelli che ammiro di più (italiani e non) chiedendogli di scrivere
poche righe per incoraggiarmi a provare la via del fumetto. In molti risposero
e lei raccolse tutti questi messaggi in un quaderno che, ancora oggi, è
l'oggetto più caro che possieda. Fra questi messaggi ce n'era uno in
particolare, di Leo Ortolani, che è forse una delle cose più belle che abbia
mai letto. Insomma è iniziato tutto da qui.
Ma da quel giorno al mio effettivo esordio sono passati
quasi due anni. Anni in cui, essendo autodidatta, ho sbattuto la testa contro
ogni ostacolo possibile, nel mio cammino alla scoperta del mestiere, delle sue
difficoltà e delle vie migliori per impostare un percorso lavorativo e artistico
sensato. Durante quel periodo ho lavorato molto come montatore audiovisivo (un
lavoro che faccio ancora oggi), un mestiere i cui insegnamenti mi hanno aiutato
enormemente come sceneggiatore.
Una tavola di Walter Dice: |
Una delle tue prime esperienze professionali è stata con i webcomics.
Cosa credi rappresentino i fumetti proposti online nel panorama fumettistico
attuale?
Che possibilità offrono i webcomics per un giovane autore?
Che il web e i webcomic siano una grande opportunità per
gli esordienti di oggi è sotto gli occhi di tutti. Il web offre sostanzialmente
le stesse possibilità di un'autoproduzione, senza averne i costi. In più,
essendo contenuti completamente gratuiti e fruibili in ogni momento, e non
opere acquistabili solo in certe fiere o sugli e-shop, possono raggiungere un
bacino d'utenza infinitamente maggiore, posto ovviamente che dietro ci sia il
giusto impegno promozionale.
Ma questo non vuol dire che siano una scorciatoia o una
via più facile. Quando un autore alle prime armi realizza un webcomic, deve
imporsi una disciplina. Nessuno gli sta chiedendo nulla, nessuno sta attendendo
la sua “opera” in nessun modo, e soprattutto non è detto che qualcuno la noti
e\o l'apprezzi. Ciononostante realizzare un buon webcomic richiede la stessa
quantità di lavoro e impegno che ci vuole a realizzare qualunque altro prodotto
editoriale, se non di più. Darsi una disciplina, delle scadenze, degli
obiettivi e rispettarli quando si è al di fuori del mercato, è molto difficile.
Se ci si riesce però, si gettano le basi per il proprio ingresso nel mondo del
lavoro. L'editoria a fumetti è uno dei pochi ambiti editoriali molto attento
alle novità e alla scena indipendente. Dimostrare di saper realizzare un
contenuto valido e di saperlo portare a conclusione rispettando anche una
cadenza è la prova migliore che si possa dare di sé. Soprattutto se si vuole
diventare sceneggiatori, figura professionale per la quale non esistono
curriculum, portfolio review o profili Instagram che mostrino i propri lavori.
Uno sceneggiatore esiste solo nel momento in cui scrive una storia che qualcuno
disegna e qualcun altro legge. Punto. Purtroppo, proprio perché il webcomic è
il banco di prova degli esordienti di oggi, è sia uno scenario pieno di
prodotti validi e innovativi, sia un grande bacino di amatorialità, spesso
anche spicciola. Questa è la sfida che progetti come Wilder si impongono di
affrontare: creare una linea di fumetti online con una cura autoriale,
editoriale e di marketing alta, mantenendo però intatta la libertà creativa
data dal web.
Ciò detto, personalmente, mi sento di consigliare
comunque ad ogni autore alle prime armi di fare anche un'esperienza con
l'autoproduzione, oltre che con il web. Un'autoproduzione ti insegna ad avere a
che fare con tutte le fasi che stanno dietro alla creazione di un fumetto e,
pertanto, è un'esperienza incredibilmente istruttiva. Costringe a fare i conti
con i limiti di una pagina, con la foliazione, con i voltapagina, con la resa
del colore, con l'aspetto tipografico e, in piccola scala, con quello
imprenditoriale.
Kingsport (Seasons, Uno Studio in Rosso/Verticomics). |
Prima con Kingsport poi con Black Rock hai sviluppato tematiche che
possiamo far risalire in parte ad autori quali H.P. Lovecraft e Stephen King,
giusto per citarne due. Quali sono state le tue influenze nella realizzazione
di queste due serie?
I due autori che hai nominato sono sicuramente fra i miei
preferiti di sempre. Infatti Kingsport non è solo un omaggio a Lovecraft, è un
vero e proprio adattamento sui generis di una parte poco conosciuta della sua
produzione (quella più incentrata sugli orrori domestici e morbosi e ambientati
nell'america rurale). Kingsport è il nome della meno conosciuta fra le sue
cittadine fittizie (vi ha ambientato solo due racconti). Paradossalmente una
mia grande fonte d'ispirazione (e sto per fare un nome che mi vergogno anche
solo a digitare accostato a un mio lavoro) è Grant Morrison. Il modo che ha di
far percepire una minaccia così grande da essere incommensurabile attraverso
piccoli dettagli.
Per Black Rock il discorso è diverso. Non so bene quali
influenze rintracciare dietro la sue genesi. Quando mi è stato chiesto di
entrare a far parte della scuderia Wilder (il portale di webcomics che ospita
la serie) ho solo pensato a realizzare la storia dei miei sogni, senza troppi
freni. Dentro c'è un po' di tante cose che mi piacciono: Cormac McCarthy, David
Lynch, Lost, Tarkovskij, The Prisoner (la serie degli anni '60), Urasawa e un
po' tutto il fumetto autoriale statunitense degli ultimi trent'anni
(soprattutto Vertigo e Image). Ma non sono influenze scelte in maniera programmatica;
sono solo un'insieme di cose che amo, che formano il mio background fruitivo
più consistente e che, in quel particolare momento, avevo voglia di esplorare
mettendoci del mio. E poi, dato che tutti mi dicevano che i miei primi fumetti
erano troppo parlati, volevo realizzare una storia molto complessa, sforzandomi
di usare il minor numero possibile di dialoghi (un obiettivo che sta mettendo
sempre più a dura prova il povero Jacopo Vanni, che sta disegnando tutti i
dieci capitoli che compongono la serie). Spero di esserci riuscito.
Il giro di vite (Roberto Recchioni presenta: I Maestri del Mistero, Star Comics). |
Sempre a proposito di influenze, per la collana Roberto Recchioni
presenta: I Maestri del Mistero hai realizzato Il giro di vite, tratto da
un racconto di Henry James. Come sei stato coinvolto in questo progetto?
Quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te un adattamento per essere realmente riuscito? In che misura è opportuno discostarsi dall'opera originale e prendersi delle libertà?
Quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te un adattamento per essere realmente riuscito? In che misura è opportuno discostarsi dall'opera originale e prendersi delle libertà?
A coinvolgermi è stato Michele Monteleone, che era stato
il supervisore delle tre serie che facevano parte del progetto Seasons (tra cui
c'era anche Kingsport). Michele ha funto da coordinatore per questa stagione
dei Maestri e mi ha coinvolto nel progetto. Poi, quando mi è stato detto che il
romanzo da adattare era Il Giro di Vite, uno dei miei preferiti di sempre,
sono andato in brodo di giuggiole. L'adattamento è un processo molto delicato,
soprattutto quando si ha a che fare con opere “ingombranti”. Credo sia
impossibile creare un manifesto programmatico del buon adattamento. Abbiamo
esempi riuscitissimi ed esempi catastrofici di ogni scuola di pensiero. Ci sono
splendidi film che aderiscono all'opera di partenza in modo quasi maniacale
(penso a Sin City, Watchmen o al Signore degli Anelli) e splendidi film che vi
si discostano significativamente (V per Vendetta, Shining ecc.). Credo che
l'unica cosa davvero importante sia avere qualcosa da dire con l'adattamento.
Adattare un'opera solo per il gusto di riproporla stando ai propri termini crea
generalmente dei risultati piuttosto sterili o dimenticabili. Ovviamente ciò
che si vuole comunicare dev'essere in linea con l'opera di riferimento o essere
una sua espansione, altrimenti non avrebbe senso partire da quel contenuto in
particolare.
Il Giro di Vite è un romanzo molto difficile da adattare. Ti
porta naturalmente a mettere molto di te stesso nella storia, perché la
narrazione di Henry James è studiatamente lacunosa. La storia glissa su alcuni
dei suoi snodi più importanti, nasconde informazioni vitali a bella posta e
descrive in modo molto incompleto il suo svolgersi. Basti pesare che sono quasi
120 anni che lettori e critici si interrogano su cosa sia accaduto alla fine
del romanzo. Dunque, nel trasporre questa storia attraverso un medium visivo
come il fumetto, si è portati a cristallizzare alcuni eventi altrimenti
piuttosto impalpabili; a trasporre le proprie idee più che la realtà oggettiva
della narrazione originale (che non esiste). È stato un processo complicato ed
estremamente divertente, in cui sono stato enormemente aiutato dal trittico di
disegnatrici che hanno realizzato il fumetto (Letizia Cadonici, Elisa
Di Virgilio e Sakka). Posso solo sperare di aver fatto un buon lavoro.
Con Walter Dice: e Chiodotorto hai avviato una specie di saga, nata sul web e ora approdata in formato cartaceo per la Magic Press. Da quali concetti siete partiti per realizzare questi volumi e cosa puoi dirci riguardo i capitoli futuri?
È stato un percorso anomalo e, al tempo stesso, molto
omogeneo.
Walter Dice: è un progetto che ho cucito addosso a
Lorenzo Magalotti (il disegnatore). Quando ci siamo conosciuti eravamo entrambi
agli inizi. Nessuno dei due aveva ancora esordito e avevamo un gran desiderio
di farlo. Per cui ho visto i lavori di Lorenzo e ho cercato di creare una
storia che fosse perfetta per quello stile (invece di cercare qualcuno che
avesse un tratto adatto a una storia che avevo in mente). Quindi abbiamo fatto Walter Dice:. Poco prima che il fumetto venisse pubblicato per Magic Press, a
me era venuta in mente questa nuova idea, che sarebbe diventata Chiodotorto, e
che volevo proporre a Lorenzo. Ma più la sviluppavo, più mi rendevo conto che
il progetto aveva molti punti in comune con Walter (il tema della vendetta, la
ricerca della moralità del protagonista, l'atmosfera in bilico fra dramma e
commedia nera...). Invece di farmi scoraggiare dalla cosa, pensai che poteva
essere un punto di forza! Così è nata l'idea di una saga tematica sulla
vendetta e di far tornare anche alcuni dei personaggi. Fortunatamente a
Magic Press è piaciuta l'idea e ora stiamo procedendo in questa direzione. Per
questo progetto abbiamo portato a bordo anche Jacopo Vanni (il disegnatore di
Black Rock) e Francesco Segala (colorista sia di Black Rock che di Kingsport).
Dopo Chiodotorto ci sarà un terzo e ultimo capitolo e sarà un'altra storia
completamente autoconclusiva, con qualche connessione con le due precedenti.
Sarà l'ultima della serie. Abbiamo già in mente il plot, il (anzi “la”)
protagonista e in che modo porterà avanti il discorso che stiamo sviluppando
attraverso queste graphic novel. Ma non dirò assolutamente nulla di più a
riguardo!
Una tavola da Chiodotorto (Magic Press). |
Con Lo stalliere, l'albo di Battaglia dedicato al Cavaliere, hai
affrontato un capitolo incredibilmente ancora attuale della politica italiana.
Quali difficoltà hai incontrato durante la realizzazione di questa storia?
È stato
interessante e strano. Ero felicissimo di lavorare su Battaglia (personaggio
che ho sempre amato come lettore), ma ero molto intimorito dal tema. Tutte le
storie precedenti di Battaglia riguardavano eventi storici così lontani da me,
che la mia mente non aveva alcun problema a porli in un contesto narrativo,
quasi distaccato. Ma il Cavaliere è stato parte della mia quotidianità sin
dalla nascita, del mio sviluppo ideologico e politico... e non in senso buono.
In qualche modo la mia mente si rifiutava di affrontare il tema a testa bassa,
come se mi infastidisse scrivere il Cavaliere come un personaggio, e quindi
attribuirgli motivazioni ed emozioni. Tutti i primi soggetti che proposi a Roberto
Recchioni usavano il Cavaliere come una figura marginale, quasi avvolta nelle
tenebre. Recchioni non condivideva questi timori e, anzi, era più che mai
deciso a spingermi a rendere questo “mostro moderno” il vero e proprio
coprotagonista della storia. Voleva che il tema fosse affrontato dall'interno,
quasi con sfacciataggine... un atteggiamento quantomai consono per una testata
come Battaglia. Questo mi ha spinto a fare molta ricerca sul Cavaliere. Mi sono
quasi odiato, dato che il mio compito, alla fin fine, era quello di renderlo un
personaggio simpatico. Ma la storia ne ha guadagnato. Non è mai una buona idea
idealizzare certe figure rendendole solo dei mostri. Ci impedisce di capire
quale fascino hanno saputo esercitare sulla società e quindi su quali falle del
tessuto sociale hanno saputo costruire il proprio potere. È la forza che
alimenta anche molti grandi film su figure del genere, basti pensare a The Wolf
of Wall Street; queste opere non condannano mai i loro protagonisti, anzi, li
rendono accattivanti, fanno in modo che il pubblico li ami e poi se ne
vergogni. Ora tutto questo torna ad assumere connotati oscuri nella mia mente,
dato che si sta assistendo ad un agghiacciante ritorno del Cavaliere (da me
erroneamente creduto scomparso nella voragine dell'irrilevanza politica) alle
luci della ribalta.
Battaglia - Lo Stalliere (Ed. Cosmo). |
Hai lavorato alla miniserie Caput Mundi per la Cosmo, co-sceneggiando
il primo numero e contribuendo all'ideazione di alcuni dei personaggi chiave
della vicenda. Come nasce questa commistione tra realismo e
horror/sovrannaturale e in che misura senti che quella storia e quei personaggi
ti appartengano?
Temo che la risposta che potrei darti a questa domanda
risulterebbe un po' spoetizzante. Quando sono stato contattato da Michele (Monteleone; n.d.r.) e
Giulio (Gualtieri; n.d.r.) per entrare a far parte del team di Caput Mundi, il progetto era già in
avanzato stato di realizzazione. I personaggi erano stati tutti inventati e i
soggetti stesi. Quindi non me la sento di attribuirmi meriti per nessuna delle
splendide idee che hanno dato vita a questo progetto. Ma dopo aver
co-sceneggiato i numeri 1, 4, 5 e 6 di questa serie, mi sento anche io un po'
parte di questo universo narrativo, e sono fiero di tutto ciò che posso aver
apportato. Sarebbe una grandissima soddisfazione per me poterci ritornare in
futuro, magari in una veste più attiva anche in fase di concezione. Staremo a
vedere...
In questa seconda metà del 2017 sei stato impegnato su più fronti: con l'Editoriale Cosmo per Battaglia e Caput Mundi, con Magic Press per Chiodotorto e con l'etichetta Wilder per il ritorno di Black Rock. Come riesci a districarti tra questi impegni e anche tra generi differenti?
E pensare che non è nemmeno il mio unico lavoro! Come
dicevo prima, lavoro anche come montatore audiovisivo e fonico, per cui posso
rivelare al mondo che il mio segreto è che... dormo molto poco.
Scherzi a parte, sapersi destreggiare fra più progetti e
generi è il requisito minimo che uno sceneggiatore deve avere per poter vivere
del proprio lavoro. Per quanto possa rivelarsi a tratti molto pesante, trovo
che portare avanti più progetti diversi fra loro abbia un enorme lato positivo:
ti consente di allontanarti da quello che stai facendo e dalla forma mentis che
stai applicando e ritornarci poi con uno sguardo nuovo. Quando si lavora a un
solo progetto (come spesso succede quando si è agli inizi) si tende a diventare
ossessivi. Se ci si blocca nella lavorazione di quell'unico progetto, per
mancanza di idee, di stimoli o semplicemente di voglia, ci si trova in una
situazione piuttosto spiacevole: ti senti completamente bloccato. Se hai più
progetti, puoi fermare quello che stai facendo e spostarti su altro senza
perdere tempo, dato che stai comunque lavorando. Di solito, facendo così,
ritornare sulla storia che stava diventando problematica dopo aver lavorato su
altro, significa anche vedere chiaramente la soluzione e sorprendersi di quanto
fosse palese.
Tornando ai webcomics, cosa
dobbiamo aspettarci dal finale di Black Rock?
Risposte e lacrime.
Black Rock (Wilder). |
Su cosa stai lavorando attualmente?
Per quanto riguarda i fumetti, al momento sono al lavoro sull'ultimo numero di
Caput Mundi. Sto portando avanti Black Rock (che mi impegnerà ancora per altri
tre mesi). A gennaio inizieremo a realizzare il secondo e conclusivo volume di
Chiodotorto e sto iniziando a mettere insieme i pezzi del mio prossimo progetto
per Wilder che, se tutto va secondo i piani, dovrebbe vedere la luce a Maggio
2018. Sto lavorando ad un nuovo progetto per Editoriale Cosmo, assieme a
Michele Monteleone. Non posso dire nulla a riguardo o Giulio (l'editor)
potrebbe farmi lo scalpo. Ma posso dire che è roba grossa e che ci stiamo
divertendo come pazzi. Per il resto, sto lavorando ad alcuni proposal di
progetti personali, sui quali, ovviamente, è troppo presto per dire qualcosa.
Hai un sogno fumettistico nel cassetto, una cosa che ti piacerebbe tanto realizzare in futuro?
Mille. Come tutti. Non sono un tipo da "progetto della vita".
Credo che se uno ha pensato a un'idea quando aveva 16 anni, e in dieci anni la
trova ancora validissima così com'era, o è un genio o è troppo attaccato alle
proprie idee. Ciononostante c'è un progetto in particolare che coltivo da un
po' di tempo e che prima o poi mi piacerebbe avere modo di realizzare
concretamente.
Essendo un lettore piuttosto vorace, ci sono decine di personaggi che mi
accompagnano sin da quando ho iniziato a leggere fumetti, su cui sarebbe
bellissimo per me lavorare.
Se devo però nominare un
sogno nello specifico, me ne viene in mente solo uno piuttosto atipico. Sono un
grandissimo amante di Batman. Penso di aver letto il 90% di tutto quello che è
stato scritto sul Cavaliere Oscuro. Uno dei miei sogni più grandi sarebbe
curare un'antologia davvero onnicomprensiva e ben curata delle storie di questo
personaggio. Di raccolte del genere ce ne sono state moltissime in moltissimi
formati (allegati, albi da edicola, volumi da fumetteria...), ma le ho sempre
trovate discontinue e un po' lacunose. Comprensibilmente concentrate sul
riproporre sempre i grandi cavalli di battaglia, ma inclini a ignorare la
continuity del personaggio, che, oltre ad essere costellata di storie
meravigliose e meno note al grande pubblico, è una delle migliori di tutto il
comicdom americano. Il mio sogno sarebbe curare un antologico davvero completo,
in cui i lettori possano iniziare dal numero 1 e proseguire, trovandosi a
leggere una versione davvero completa della storia di Batman. Mi rendo conto
che è un sogno un po' noioso e ossessivo-compulsivo... ma è il mio.
|
Grazie davvero per la disponibilità e a presto.
Giuseppe Lamola & Gli Audaci