Essentials: Animal Man di Grant Morrison

Un fumetto dalla potenza inaudita, un salto nell'iperspazio per il medium stesso


Il 1986 è uno degli anni che più vedrete citato nella storia del mondo tondo del fumetto americano.
Parliamo dell'anno che vide una ristrutturazione quasi completa non solo di alcuni universi a fumetti, ma anche del concetto stesso di supereroe, che veniva trasformato da una buffa soap opera dove si tiravano un sacco di cazzotti ad una disanima più o meno strutturata di cosa volesse dire essere umano.

Ecco, l'anno dopo, dall'altra parte dell'oceano, un tale Grant Morrison decideva che avrebbe voluto anche lui scrivere di supereroi, e lancerà così Zenith, una serie che parlava di un supertizio in giacca di pelle, che il supertizio non lo voleva fare, ma che si trovava suo malgrado a dover combattere contro minacce al di fuori di ogni immaginazione, o quasi.

La serie fu molto apprezzata, anche perché riusciva a declinare il concetto di decostruzione del mito del supereroe in una maniera piuttosto inedita, visto che il suo protagonista in effetti faceva poco e niente, e preferiva godersi lo zeitgeist anni 80 piuttosto che salvare il mondo (cosa che nella sua serie fanno sempre gli altri, ma sto divagando, parliamo di un fumetto bello davvero comunque) e così la DC Comics chiamerà lo sceneggiatore a lavorare su due progetti: una miniserie su di un personaggio minore, Animal Man, un giovanotto irradiato dagli alieni che poteva copiare le abilità fisiche di qualunque animale delle vicinanze, ed una su un tizio di cui forse avete sentito parlare una o due volte, tale Batman.

Ora, sarebbe molto, ma molto bello aver fatto uno scherzone e dire “Vi aspettavate che parlassi di Batman? E invece no! Animal Man!” ma non solo il titolo di questo pezzo mi frega in partenza, io non posso fregare nessuno, perché con grande onestà vi devo dire che Animal Man di Grant Morrison è il fumetto che mi ha fatto diventare uomo ed è forse la causa scatenante di tutto quello che amo nel medium.
Ma andiamo con ordine.


Il progetto originale della DC era quello di dare a Morrison una miniserie di 4 numeri, disegnati da Chas Troug, con copertine di Brian Bolland, ma la serie dimostrerà fin da subito un buon successo di pubblico, che la porterà ad essere “promossa” a serie regolare, alla quale lo scrittore lavorerà per 26 numeri, con l'aiuto di un pool di disegnatori, coloristi e letteristi fra i quali citiamo Doug Hazlewood, Tom Grummet, Steve Montano, Helen Vesik, Mark McKenna, Tatjana Wood, John Costanza, Pais Cullins e Mark Farmer.

Detto questo, le prime quattro uscite sono appunto estremamente coese, narrandoci le avventure di Bernhard “Buddy” Baker, che dopo anni di serie B nella lotta al crimine, decide finalmente di prendere sul serio la sua carriera di supereroe, e focalizzandosi anche sull'impatto che questa decisione avrà sulla sua famiglia, ovvero la moglie Ellen ed i suoi figli piccoli Cliff e Maxine.

Il tratto di Troug, estremamente semplice e schematico, si sposa da subito molto bene con il tono della serie, molto più terra-terra rispetto alle avventure di altri supereroi contemporanei, ma anche rispetto ad altre opere con toni simili. Buddy è spesso senza costume, non è sempre al centro dell'azione, fa un sacco di sbagli, o anche più semplicemente decide di mettersi una giacca sopra il costume attillato perché “Se no dove le tengo le cose?”, una mossa che, di nuovo, come lo stile del suo disegnatore è tanto semplice quanto perfettamente inquadrata nel tipo di storia che si vuole raccontare. Oppure è una citazione sottile allo Zenith di cui sopra, non dubito che ci possa essere un filo conduttore. Ve lo giuro, non sono fuori di testa, ho solo letto troppi fumetti.

Quello dove Troug un po' fatica però, sono gli elementi più disturbanti di questi primi numeri, dove vengono riportati in auge anche altri vecchi concetti Dc sconosciuti ai più, ma vi basti sapere che ci sono un sacco di animali, e di mostri simil animali in questi primi quattro numeri, e non sempre si riesca a catturare l'atmosfera disturbante che si vorrebbe creare, e che invece si coglie appieno quando si parla di uomini che si comportano da mostri, creando così una strada dissonanza non voluta nel lettore, che nel parere di chi scrive rende tutto un poco meno efficace.


Fatto sta che, finito il primo ciclo, Morrison e Troug prendono il volo, e iniziano ad inserire quello che sarà l'argomento di cui tutti parlano quando parlano di Animal Man, ovverosia una fortissima componente metafumettistica, di fumetto che sa di essere fumetto, che nel numero 5 (Il Vangelo del Coyote, una rinarrazione postmoderna e tragicissima del mito di Wile E. Coyote) è forse ancora un poco abbozzata, ma che poi prenderà il volo nei numeri successivi.

E nel numero 6, dove Morrison viene costretto ad inserire un collegamento al grande crossover DC dell'epoca, tale Invasione (dove un gruppo di alieni decidevano di, ovviamente invadere la Terra), che viene poi introdotto un concetto tanto semplice, quando efficace in retrospettiva: viene inserito per la prima volta un pezzetto di trama che tornerà più avanti in una forma ciclica a mo di uroboro, in un ciclo dove tutto si parla, e dove ogni singolo concetto viene ripetuto continuamente, mostrando sempre però delle prospettive diverse ad ogni ripetizione.
 
Animal Man è un fumetto che fondamentalmente evolve assieme al suo protagonista, e che al contempo stesso fa evolvere il concetto stesso di cosa sia un fumetto, prendendo a piene mani dalla sua tradizione più pura, miscelata con un po' di sporco reale, in un cocktail spesso replicato, ma forse mai eguagliato nella tradizione made in USA.


Il fervore politico, di denuncia più o meno blanda delle prime strisce di uomini in tuta che combattevano la corruzione della politica americana diventa un fuoco in Animal Man, dove si parla di attivismo per i diritti degli animali, con delle lenti sicuramente molto polarizzate verso la bontà di questa scelta, ma senza dimenticare di gettare un occhio anche alle criticità che questo può portare.

Il rapporto umano, la concezione di dramma umano dei supereroi è intervallata da momenti di vita domestica quasi noiosa da quanto possa essere traslata paro paro al di fuori di un albo a fumetti.

L'azione è veramente un qualcosa che resta sullo sfondo, anzi, Morrison e compari si lanciano in una satira quasi precognitiva di un certo modo di fare fumetto, mentre cercano di dare un semplice messaggio, ovverosia che spesso la soluzione ad un problema può essere più semplice di quello che sembra, e non sempre le botte risolvono le cose, una lezione che poi si traslerà in opere successive dell'autore scozzese come Flex Mentallo, in forme più delineate.

Ovviamente, chiunque parli di questo ciclo non può non parlare del metafumetto inserito in questo albo, che raggiunge dei picchi di rottura della quarta parete ragguardevoli, ma più che tutti i momenti dove Buddy interagisce col mondo reale, quello del lettore, per me la poesia e la potenza di tutto questo sono i pensieri vivi e reali che l'autore riesce a far permeare all'interno delle pagine dell'albo, con una naturalezza ed una semplicità che vanno oltre lo shock di alcune rivelazioni.
Il lato umano dell'autore, fatto di tristezza e cinismo, di mostrare che oltre le pagine c'è qualcuno che comunica con te, ma che non è un qualcosa di etereo, ma un qualcuno che ha idee, e a volte anche sentimenti orrendi fu come un fulmine a ciel sereno per il me adolescente, e lo è ancora oggi.


Certo, Steve Gerber lo aveva fatto meglio con quel lungo numero di Howard il papero dove si scriveva delle lettere da solo, ma in questo caso Morrison ed amici riescono a fare una crasi superponderata di un messaggio forte, fortissimo e tanto semplice da essere ignorato ai più, con una delicatezza ed un affetto verso non solo Animal Man come concetto, ma anche come astrazione di amore verso il fumetto, chi lo legge, e chi lo fa.

E in tutto questo, in tutto questo marasma di concetti aulici, di critica, di sproloqui, Morrison e soci riescono anche a darci un fumetto inserito talmente bene nell'universo DC Comics da sembrare fuori posto.

Ci si volta un secondo, ed ecco un cameo di un qualcosa che potevamo aver dimenticato, o perso di vista, ci si volta di nuovo, e quel cameo ci sembra alieno da tanto è fuori posto nel modo di concepire il mondo del fumetto come lo conosciamo noi, e ci si volta un'altra volta, e si vuol sapere tutto di quel personaggio così infame da voler rubare la giacca a Buddy.

E ci si perde, ci si perde dietro citazioni a mondi perduti, a ricordi sbiaditi nel tempo, a cose che sembrano importanti solo perché tutto quello che ci gira attorno è importante, quel concetto senza tempo e bellissimo che recita che finché qualcuno si ricorda che esisti, allora tu sei immortale, e quindi tutti questi bellissimi e colorati personaggi di serie doppia Z tornano anche completamente diversi da com'erano a trottare sulle pagine di un albo che diventa il loro campione.

Campione sia nel senso di eroe, di qualcuno che combatte per loro, ma campione anche nel senso di categoria che viene usata per misurare tutte le altre.
 

Perché è vero, verissimo, che con la serie B dei personaggi puoi fare di tutto e di più, perché tanto poi la maggior parte delle cose che farai verrano cancellate con un colpo di spugna, ed è vero che questo ciclo ci gioca moltissimo su questo concetto, però...

Però in Animal Man c'è una potenza inaudita, ci sono tante di quelle possibilità aperte e chiuse, tante di quelle domande ciniche che ci facciamo per sembrare intelligenti quando leggiamo un qualcosa scritto per i giovanotti che trovano una risposta, e quella risposta è quasi sempre una risata in faccia.

Questa storia se mi avete letto negli anni l'avrete sentita fino alla nausea, ma io arrivai ad Animal Man quasi per caso, lessi la recensione del terzo numero in una fanzine dedicata al personaggio italiano Rat-Man chiamata Ragno, recuperai il primo ed il secondo volume, e siccome non erano numerati iniziai dal secondo.

Non ero superconvinto, ma tutti mi dicevano che Morrison era complesso da capire e io affrontai questa cosa di petto, e sebbene la parte centrale sia forse quella un po' più debole come impatto, rimasi folgorato.

Mi resi conto, nelle viscere, che questo era un punto di rottura, mi resi conto che per quanto potessero essere belle tutte quelle serie regolari che normalmente masticavo, nella mia vita ci sarebbe stato un prima, ed un dopo Animal Man.

L'antipatia per un certo tipo di fumetto, dove tutto è cupo e nulla ha senso, mi ha fatto sentire ascoltato, e ancora oggi è un caposaldo del mio modo di leggere.


E mi rendo conto che questa sia tutta una pappardella emotiva, manco fossi uno scrittore di ricette su internet che prima di dirvi come si fa il Gumbo di New Orleans vi deve raccontare di come la sua famiglia lo cucini da sempre, ma che cos'è la critica, se non vedere un'opera di una persona filtrata dagli occhi di un'altra? Che cos'è una rubrica che si chiama Essentials, se non si spendono sudore ed inchiostro finto per tessere le lodi di un qualcosa che deve essere letto, nel parere di chi scrive?

Certo, Animal Man ha dei difetti. Più di uno. Come detto in precedenza la parte mediana è tutta di preparazione per il futuro, e questo la rende molto poco incisiva, e molto più nerd in alcuni punti. La spiegazione di come funzionino i cambiamenti all'interno della continuity degli albi non è proprio soddisfacente e sembra tutto sommato posticcia rispetto ad altre scelte, e voi non avete idea di quanto maledettamente britannico sia il primo ciclo, veramente, 24 pagine sembrano lunghissime ogni volta, ma perchè Morrison ci doveva ancora prendere la mano.

Dal lato grafico, personalmente io apprezzo molto più la semplicità naif di Troug rispetto al tratto più classico di Gummet, che dona alla storia una gravitas supereroistica “classica” che mal si sposa con il manifesto d'intenti della serie.

E va bene così. Non credo esista una sola opera perfetta nel mondo dei fumetti, e immagino non esisterà mai, ma Animal Man è grezzo, smussato, ben lontano dall'essere definito, e proprio per questo così affascinante ed ipnotico.

Ho riletto la serie ovviamente, prima di riscrivere questo pezzo, ed era da anni che non la riprendevo, e mentre la finivo mi stavano tremando le mani, avevo i brividi da quanto fosse tutto così coinvolgente, tutto così magnetico, ed ero sconvolto da quanto mi avesse lasciato, come persona vera.


Animal Man non è un piccolo passo per la DC, ma un grande passo per il fumetto, è un salto nell'iperspazio per il medium stesso. Un anello mancante fra la decostruzione cinica per esser cinica, la commistione di generi e il senso stesso di grammatica a fumetti.

Sono parole forti, me ne rendo conto, ma non stiamo parlando di una cosetta, stiamo parlando di un qualcosa che è arrivato dopo che uno dei più grandi di tutti ha cambiato faccia ad un'arte, e ha detto “Bello, ma io lo farei così”, e mirando in alto, è volato alto, e non si è mai fermato, come un'aquila così grande da mettere in ombra il mondo intero.

E non posso non concludere con una nota su quel numero sei, di cui parlavo sopra, che ha al suo interno una battuta, che nella mia vita cito continuamente.
Una battuta di una semplictà disarmante, che nasce come una scemata anticlimatica perfettamente inserita nel concetto della storia stessa, e che torna quasi venti numeri dopo come la frase che non solo salva la situazione, ma che ci viene anche detto esser un consiglio per la vita.
Una frase che non sono certo di aver mai capito, ma che è dentro di me, e ci resterà per sempre.

Un po' come Animal Man.

Giovanni Campodonico



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