Morgan Lost #22
La dolorosa ricerca del silenzio
Il silenzio alla fine del mondo, il 22° numero della serie regolare di Morgan Lost è, ancora una
volta, un piccolo miracolo di poesia e violenza e, infatti, porta
l’inconfondibile firma di Claudio Chiaverotti, impegnato in questo
periodo su due fronti editoriali a lui ugualmente cari: Morgan Lost da una
parte e il ritorno del suo primo figlio Brendon
dall’altra. Abbiamo parlato con lui di questo evento tanto atteso dai suoi
numerosi fan in un’intervista pubblicata nelle scorse settimane e ci (e vi) promettiamo di tornare a parlare di Brendon con la recensione
audace di Ritorno al Regno del Nonmai, sulla quale il vostro
affezionatissimo Rolando è già al lavoro.
Come sempre, al centro della storia non troviamo Morgan, ma un ennesimo Signor Nessuno, un anonimo impiegato, al reparto lettere mai consegnate, del Tempio della Burocrazia: Odd Bagging (chi non ha pensato a Tolkien, leggendo questo nome?!), un’esistenza solitaria e scialba colorata esclusivamente dalla visione dei suoi amati documentari sulla fine del mondo. Ma il Fato sembra davvero essergli avverso: il quieto Odd è perseguitato dal rumore, letteralmente, ovunque. E la sua quest per il silenzio più totale lo porterà a usare ogni mezzo per raggiungere la pace dei sensi.
Scorrendo le pagine di questa dolorosa storia chiaverottiana, rileggendo i passaggi più significativi, ci si trova a interrogarsi sul senso della nostra esistenza. È davvero tutto così privo di senso come appare? Claudio sembra suggerirci che sia proprio così, il buio della vita è davvero più scuro di quello della morte ma forse – sul finale è consentito intravedere un piccolissimo spiraglio? – il modo di lasciare questa valle di lacrime può restituire un minimo di significato alla nostra esistenza, altrimenti inutile e anonima, a prescindere dai risultati raggiunti, dagli amori collezionati e dai “bravo” ricevuti. Non esiste ricompensa per quello che di buono facciamo così come non esiste punizione per quanto di sbagliato e cattivo perpetriamo volontariamente o involontariamente: ma anche un singolo atto generoso compiuto verso un’altra vita può nobilitare – agli occhi di nessuno, badate bene!, ma di per sé – il vissuto del cuore più nero e perverso.
Il film Still Life del 2013 di Uberto Pasolini, al quale Chiaverotti si è liberamente ispirato (soprattutto per delineare il personaggio dell’impiegato), può essere un ottimo approfondimento per chi si sia emozionato leggendo queste pagine. E chi vorrà farsi il regalo della visione del bellissimo lungometraggio potrà notare che c’è una differenza sostanziale tra la visione portata avanti da Chiaverotti e quella del regista romano: il finale del film – che ovviamente non vi sveliamo! – fa fatica ad accogliere in pieno la tragicità del reale e propone una consolatio non petita e non riesce a fare a meno di sostenere che un pizzico di riconoscimento – anche postumo – sia indispensabile per donare un senso a ciò che ne è totalmente privo. Chiaverotti, molto più stoicamente, invece, consapevole della
totale inutilità della speranza, ha capito che la vera missione dell’Artista
(in senso lato) è proprio quella di riuscire a trovare, in mezzo al marcio del
quotidiano, un motivo per cui valga comunque la pena vivere e restare su questo
opaco atomo di male. E lo fa con la sua penna e i suoi Morgan e Brendon.
Chiaverotti – che da quasi due anni si supera, di mese in mese – anche in questa occasione si conferma un autore nel pieno controllo della sua tecnica narrativa, una coscienza critica che ha ancora tanto da dire e sa come farlo, poiché è dotato di uno stile personalissimo, frutto di decenni di esperienza ai massimi livelli. L’eccellenza del suo dettato autoriale non ha pari, così come l’intensità del suo lirismo. La fine di Brendon ci aveva privato della nostra dose bimestrale di poesia chiaverottina, ma da ventidue mesi abbiamo il privilegio di poter godere di un piacere ancora maggiore: una dose mensile che rende la nostra dipendenza ancor più salda ed esigente… e fino a quando Claudio riuscirà a tirare fuori storie d’amore indimenticabili come quella tra Odd ed Ellen (che sarebbe piaciuta sia ad Lee Masters sia a De André, campioni dei fiori non colti), possiamo dormire sonni tranquilli. Proprio questa storia d’amore potenziale è la vera ciliegina sulla torta di questo albo: Odd Baggins – se potesse – si strapperebbe via le orecchie per non dover più sopportare il dolore fisico che prova a causa dei rumori che lo tormentano, mentre Ellen – essendo priva della vista – vive attraverso i suoni e impara a conoscere le persone e, forse, anche ad affezionarsi, proprio attraverso l’udito, strumento conoscitivo per lei indispensabile.
Il fatto che non si sveliamo nulla di quello che fa Morgan in questo numero deve fungere da campanello d’allarme: conoscete voi una serie che riesce – quasi, eh, non del tutto ovviamente – a fare a meno del suo protagonista e che si basa essenzialmente sui – cosiddetti – cattivi? Tutto questo – e molto di più – è Morgan Lost. Tutto questo – e molto di più – è Claudio Chiaverotti.
E che dire del lavoro di questo mese di Fabrizio De Tommaso?! Lo scriviamo per ogni recensione, ma dopo 22 piccoli gioielli possiamo affermare di trovarci davanti al suo capolavoro assoluto: lo sfondo carminio – su cornice bianchissima – è di quelli memorabili, dall’impatto visivo schiacciante; lo stesso effetto producono i passi dei dinosauri sulle meningi del nostro povero Morgan, che ritroviamo in ginocchio, capo chino, mani in alto, in posa plastica degna di essere immortalata da un’action figure… il nostro eroe sembra quasi implorare pietà, che la sua sofferenza cessi e che gli si conceda una morte veloce. Il rumore – quel RRRRRUMBLE bianco come la morte – lo attanaglia e non gli lascia scampo e noi non possiamo non solidarizzare con lui. Inchino!
L'illustrazione di De Tommaso per la cover dell'albo. |
Marco Perugini torna dopo un anno dal suo primo Morgan, il n. 10, il violentissimo Senza nome e senza volto, e lo fa in grande stile, realizzando una storia tra le più emozionanti dell’intera serie. Avevamo già notato nella nostra ultima recensione l’uso – quanto lontano dall’essere invadente ma davvero molto efficace – del rumore di sottofondo in questa serie. Claudio e i disegnatori tutti hanno sposato evidentemente questa missione: oltre che farci leggere buone storie, a farci vedere attraverso gli occhi del protagonista in questa inedita prospettiva in scale di grigio, rosso e nero, vogliono anche farci ascoltare quello che ascoltano i personaggi, persino i rumori di sottofondo che caratterizzano la terribilmente umana–troppo–umana cittadina di New Heliopolis. Perugini si supera e alza i decibel dello sconforto sonoro e ci investe con una violenza acustica inedita nel fumetto italiano: Baggins è a pezzi, e noi con lui, perché non c’è sequenza che lo riguardi che sia priva di soverchiante e molesta tortura auricolare. Ogni Rrrrumble è una coltellata, tutti i Tu–tum sono un timbro di vidimazione sul biglietto di sola andata per il regno del rumore, ogni Trrrrrrrrrrrr è lo stupro mentale del martello pneumatico che si ripete all’infinito, i peeeeeeet sono i clacson del carro funebre della sanità mentale, i mefistofelici drrrrrrrrrrrrr sono le campane dell’inferno che ci chiamano, i tanti tunk tunk tunk sono le martellate finali sulla porta dell’aldilà.
E una volta raggiunto il silenzio alla fine del mondo, tremiamo dalla voglia e dalla paura di entrare ne La zona d’ombra, il prossimo numero in uscita il 22 agosto, per i disegni di Ennio Bufi.
RolandoVeloci
NUMERO: 22
DATA: luglio 2017
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Claudio Chiaverotti
DATA: luglio 2017
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Claudio Chiaverotti
DISEGNI E CHINE: Marco Perugini
COLORI: Studio Arancia
COPERTINA: Fabrizio De Tommaso
Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore