La terra dei vigliacchi
Le Storie di Bilotta e
Vitrano
Era dal luglio 2013 che aspettavamo un altro parto
artistico della coppia che ha fatto arrivare nelle edicole quello che forse è
stato il più perfetto tra gli episodi della collana de Le Storie. Parliamo di Alessandro Bilotta e di Pietro
Vitrano, autori di quel Nobody
che ci ha regalato i momenti di maggiore lirismo letterario degli ultimi anni.
Ma quando si ragiona di Bilotta non è difficile finire a parlare di opere che
vinceranno il passare del tempo.
«Exegi
monumentum aere perennius» cantava Orazio, uno dei tanti autori
citati nelle pagine dell’albo che stiamo recensendo. Lo stesso, nel suo campo,
ha già fatto e sta continuando a fare l’autore romano, classe ’77, conosciuto e apprezzato per Povero
Pinocchio, Il dono nero, Le strabilianti vicende di
Giulio Maraviglia–inventore e La dottrina, Valter Buio, per
alcune sue prove su Dylan Dog e le tante Storie (Il lato oscuro della luna,
il già citato Nobody, Friedrichstrasse, MercurioLoi e il recente Ramsey & Ramsey) tutte recensite
dai vostri Audaci.
Questa volta ci troviamo negli Stati Uniti, per la precisione in
California, negli anni fra le due guerre mondiali. Come c’era da aspettarsi, il
nuovo mondo, in questa Storia di
Bilotta, non rappresenterà la terra promessa, il regno delle occasioni, del
futuro radioso, del sogno – appunto – americano ma, più pavesianamente, sarà la
terra nella quale si svolge il destino, quasi scritto col sangue nella terra
stessa, dei protagonisti.
Il tratto di Vitrano, classe ’73, dopo il debutto di Nobody, si è fatto più
sintetico, più indefinito, meno realistico – soprattutto nei volti dei
personaggi, per i quali il nostro autore si prende ampie libertà di
reinterpretazione dei tratti principali. La forza della sua matita risiede
nell’alta carica drammatica e tragica che bene riesce a cogliere l’essenza
dello scrivere di Bilotta.
Il
racconto è strutturato su due piani narrativi, quello dell’adolescenza, con la scoperta
della miseria dell’esistenza, la contemporanea presa di coscienza della
caducità delle illusioni e il conseguente desiderio di fuga ed evasione e
quello della maturità, con la tragica conferma delle delusioni intuite in
gioventù.
Il
protagonista del racconto, Hazael Sullivan, è un irrequieto giovane delle Salinas californiane,
figlio della miseria di quelle aree abbandonate da dio e dagli uomini, che al
momento della narrazione ha circa quarant’anni e fa l’investigatore a Los
Angeles.
Quella
che trovate in queste pagine è la storia del suo ritorno nei luoghi dove ha
passato tutta la giovinezza. Un ritorno amaro – forse ancora più amaro di
quanto si aspettava: egli trova tutto cambiato in peggio a causa della grande
depressione economica post ’29; ai suoi occhi «È quasi una città fantasma,
ormai»…
Ad attendere il detective
alla stazione c’è lo sceriffo Lucius Drake, il quale lo accoglie con
affetto. Uomo saggio («Mi mancano le cose belle dalla gioventù ma ho il
sospetto che ai giovani manchino le cose belle della vecchiaia»), attento
lettore («Leggi ancora tutti quei libri?» gli chiede Hazael, «Tutti quelli che
posso. Pensa, c’è persino un pazzo che ha deciso di aprire una libreria!» è la
sua risposta; oppure, citando il controverso Ojetti, «Dai libri che leggi posso
giudicare la tua curiosità. Da quelli che rileggi capisco ciò che hai sofferto
e ciò che speri»), intimo conoscitore
della parabola esistenziale del protagonista, rappresenta quello che Hazael non
è riuscito a diventare: un uomo che accetta il proprio destino e la propria
condizione senza lottare contro tutto e tutti e proprio per questo, agli occhi
del protagonista, incarna un ideale di vita. Da parte sua, l’anziano sceriffo
Drake rivede con gioia quello che per lui ha tutta l’aria di essere come un
figlio: passa volentieri del tempo con lui, anche se non sempre comprende il
suo tormento interiore e non riesce ad aiutarlo fino in fondo.
Se
Hazael è stato mandato a Salinas Valley è per indagare sul brutale omicidio di Shirley
Rivers, una giovane ragazza
probabilmente allontanatasi dalla retta vita (evidente richiamo al degrado
umano che imperversa nel paese) lungo la quale i genitori (anch’essi a
conoscenza del passato turbolento del protagonista) l’avevano messa.
Il
nostro è un uomo solo – anche se parla in tre momenti chiave al telefono con
una donna – che se guarda il cielo capisce che quelle stelle non sono le sue,
che dice che se fosse stato per lui non sarebbe mai tornato, che vuole
ritornare al più presto dal “suo tesoro” a Los Angeles e che non vuole morire
nel posto dal quale ha deciso di andarsene vent’anni prima. In realtà, si capisce
che è tornato per chiudere i conti con il suo passato e affrontare il suo
destino.
Non è un caso che i fatti siano racchiusi tra il 1918
e il 1939: inizino, cioè, subito dopo la fine della prima guerra mondiale e
finiscano subito prima della seconda guerra mondiale. A testimoniare, una volta
di più, pavesianamente, che la storia con la S maiuscola è lontana anni luce
dai drammi che portiamo dentro e che per ognuno di noi rappresentano gli eventi
più importanti di sempre, gli unici che contino qualcosa…
In questa storia ci sono almeno altri tre personaggi
che meritano di essere menzionati, l’ambigua padrona del villaggio, l’amore
giovanile di Hazael e il suo più caro amico.
Providence, Provvidenza (nome davvero
parlante!), è una donna che, forte del suo denaro, tiene in scacco tutti gli
agricoltori della zona e chiede al padre di Hazael (altro personaggio che, come
la madre, sarebbe da approfondire ma evitiamo di farlo per evitare di rovinarvi
la lettura dell’albo) di portarle – novella Strega di Biancaneve – il cuore della moglie. Il suo ruolo è molto
complesso, quasi tragicamente necessario (e citare Edipo non è blasfemo), come
indispensabile e generatrice di tutto ciò che avverrà negli anni a seguire è la
sua fine…
Judith, la ragazza della quale Hazael è
perdutamente innamorato, nel 1918 è, sì, giovane, non propriamente bella ma,
nonostante questo, è contesa dai giovani del paese; tuttavia è estremamente
fragile e tendente alla depressione (proprio come la donna con la quale il detective Sullivan parla ripetutamente
al telefono), con le sue domande inquietanti («Pensate a come sarebbe… buttarsi
in acqua e andar giù… finché non resta più niente.») e i suoi dubbi («Io non
voglio che diventi un dovere [volersi
bene N.d.R.]. È così che saremo da vecchi?»). La donna che Hazael ritrova nel
1939 è, invece, una moglie battuta dal marito, un omaccione violento e rozzo, condannata a un infelice matrimonio e offesa dal tempo, che però non le ha permesso di dimenticare il
protagonista.
Isaac
Mahon,
l’amico, nel 1919 è un giovane pieno di fiducia nella vita e di speranza per il
suo futuro, ma è timido e introverso: per lui il protagonista prova una profonda
amicizia dettata, purtroppo, dalla pietà e dal senso di colpa per quello che i
due condividono. Hazael sperava che Lucius si sarebbe preso cura di lui e che
l’avrebbe guidato paternamente lungo il sentiero della vita: purtroppo non
andrà così. L’uomo del 1939 è un reduce sfigurato, un emarginato, che pur di
non affrontare il giudizio dello specchio e del suo riflesso mostruoso
preferisce trasformarsi in un mostro che legge Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij.
Nel
drammatico finale, nel quale è possibile rintracciare l’eco steinbeckiana di Uomini
e topi, i ricordi si trasfigurano in simboli e quando questi si
palesano cade il velo e possiamo tentare di leggere l’opera bilottiana per
quella che è: una storia fatta di
solitudine immensa, di innocenza mai avuta (non persa), del desiderio
irrealizzabile di un’infanzia famigliare, di un’adolescenza serena, di un
impossibile ritorno alle origini perché a tornare è proprio un figlio
illegittimo di quella terra che proprio a partire da questo suo scacco
esistenziale non riuscirà a risolvere i conflitti che si porta dentro da
sempre.
«Tante cose possono venire perdonate grazie a un
singolo gesto di misericordia» viene detto, citando la Lucia manzoniana: ecco,
vi basti sapere che in questa odissea nel nero del passato e del presente senza
speranza non c’è spazio nemmeno per un singolo gesto di misericordia. Anzi,
proprio quello che avrebbe dovuto essere un gesto misericordioso si trasforma
nell’ultimo atto di chi aveva sentito il bisogno di alleggerire il fardello
della sua anima.
Un Bilotta mai così in alto…
Rolandoveloci
«La coscienza è uno specchio. Almeno stesse fermo, invece più lo fissi e più trema».
“La terra dei
vigliacchi”
SERIE: Le storie
NUMERO: 42
DATA: marzo 2016
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Alessandro Bilotta
DISEGNI E CHINE: Pietro Vitrano
COPERTINA: Aldo Di Gennaro
SERIE: Le storie
NUMERO: 42
DATA: marzo 2016
SERGIO BONELLI EDITORE
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Alessandro Bilotta
DISEGNI E CHINE: Pietro Vitrano
COPERTINA: Aldo Di Gennaro