Le nuvole del soffitto - C'è vita dopo la morte, ma non ne vale la pena
Un uomo va dal medico e scopre di essere morto. Già da un po' di tempo. Non è l'inizio di una barzelletta ma del fumetto d'esordio di Roberto Biadi
Come ogni essere umano cerco di occupare come posso il tempo in cui sono sveglio, aspettando il momento in cui finalmente potrò smettere di preoccuparmene.In fondo ho sempre aspettato la morte, per tutta la vita... E questa arriva senza che manco uno possa accorgersene. BEH GRAZIE MILLE!!!
Un uomo che ha le sembianze di un ratto, a un certo punto, scopre di essere morto. Questa cosa è successa già da un po' di tempo, soltanto che lui non era riuscito a rendersene conto. Glielo rivela un medico. La vita, invece, va avanti come sempre e, come sempre, non è che una sfilata di situazioni scialbe, insoddisfacenti, a volte persino deprimenti.
L'uomo con la testa da ratto ha una ex compagna che non incontriamo mai ma che non perde occasione di ricordargli, a ogni telefonata, quanto lui non sia altro che un povero coglione, ha un lavoro che lo fa sentire frustrato e sfruttato, beve troppi caffè e troppo alcool, ama i piccioni - che non sembra ricambino - e soprattutto ama sua figlia Nina, l'unica cosa bella della sua vita, anzi, della sua non-vita, ormai.
Dal momento della diagnosi, l'uomo con la testa di ratto prova a ragionare su cosa voglia dire essere morto senza che ci sia stato un cambiamento nelle sue esperienze abbastanza significativo da permettergli di rendersene conto. Insomma, ci sono alcune differenze notevoli tra lo stato in vita e quello che segue il trapasso. Eppure, i muscoli e la mente dell'uomo con la testa di ratto funzionano ancora, il suo apparato digerente continua a permettergli di ingurgitare caffè e i momenti con Nina continuano a essere gli unici belli.
Forse ha iniziato a morire così tanto tempo fa, così tanto lentamente che lo sfumare dalla vita alla non-vita è stato così insignificante che si ritrova, adesso, come un pollo decapitato che continua a correre per l'aia negli ultimi spasmi dell'agonia.
Forse tutto questo non è che una lunga, insensata corsa per l'aia.
Questa nuova condizione, comunque, riesce a dare all'uomo con la testa di ratto - evidentemente l'alter ego dell'autore, Roberto Biadi - la possibilità di fermarsi a riflettere sulla sua esistenza.
Resta fermo, vignetta dopo vignetta, a immaginare azioni che non compirà, a tentennare finché non sarà troppo tardi per prendere una decisione, a sprecare tempo, continuando ad assorbire rancore e delusione da ciò che lo circonda.
Uno degli aspetti più interessanti di Le nuvole del soffitto (add editore) è la costruzione degli spazi narrativi, spazi che servono a definire la scansione di un tempo inesorabilmente lento, spazi che raccontano un movimento infinitesimale che non porta da nessuna parte. Ci sono tavole intere in cui la stessa inquadratura si ripete ossessivamente, ci sono immagini che tornano più volte, quasi identiche, a urlare - più che suggerire - una stasi a cui sembra non esserci alternativa.
Non bastano gli spazi aperti a toglierci la sensazione di claustrofobia perché non sono le pareti a rinchiudere. Se una prigione c'è, è quella che si è costruito l'uomo con la testa di ratto, una prigione fatta di desideri e voglie e istinti soffocati, una prigione da cui ormai è impossibile tirarsi fuori. La prigione che non è solo teatro della sua nuova esistenza da morto ma ne è la ragione stessa.
Tra i leit motif del fumetto ci sono i piccioni, onnipresenti e simbolici, anche se difficili da interpretare. L'uomo con la testa di ratto dice di amarli ma il suo rapporto con loro non sembra affatto idilliaco, e le scene in cui si ritrova con la cacca di qualche piccione addosso non scarseggiano. Eppure, questi animali a cui la matita di Biadi si dedica con particolare cura sembrano essere l'unica parte viva e genuina di un mondo grigio, spento e squadrato. Solo nelle pagine finali, in una scena inaspettata e sconcertante, Biadi ci lascia intuire il loro significato, regalandoci un momento tanto intenso quanto amaro, la perfetta conclusione a una storia che parla di tantə mortə che non sanno di esserlo.
Claudia Maltese (aka Clacca)