L'arte, il cibo e i gusti inconsueti: intervista a Filipe Andrade

Dialogo con l’artista portoghese al Comicon Napoli 2025 in occasione della pubblicazione di Rare Flavours, edito da Edizioni BD

Artista poliedrico, Filipe Andrade, laureato in Scultura alla Facoltà delle Belle Arti dell’Università di Lisbona, ha collaborato con numerose realtà, tra cui BOOM! Studios, Marvel, Passion Studios e Riot Games. Ha vinto un Hugo Award per Cyberpunk 2077: Big City Dreams (Panini), un Ringo Award, il Prix Littéraire du Sud France ed è stato candidato a molteplici Eisner Award per Le Molte Morti di Laila Starr (Panini) e Rare Flavours (Edizioni BD), entrambi nati dalla prolifica collaborazione con Ram V.

Al Comicon Napoli 2025 è stato ospite di Edizioni BD proprio in occasione della pubblicazione italiana di Rare Flavours. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo per parlare del suo lavoro e del suo approccio al mondo del fumetto.

Visual artist e fumettista, hai collaborato con molte realtà importanti, fuori e dentro il mondo del fumetto, anche se la nona arte è arrivata solo in un secondo momento nella tua vita. Ti sei infatti laureato in Scultura alla Facoltà di Belle Arti dell’Università di Lisbona, per poi studiare animazione a Los Angeles. Come mai e perché sei “finito a fare fumetti”, cosa ti ha attratto in particolare di questo medium? 

In realtà, l’idea di fare fumetti nella mia vita c’è sempre stata. Fin da quando ho iniziato la scuola d’arte a Lisbona ho pensato di poterne fare una professione, anche se mi sono sempre diviso tra questa strada e quella accademica, sia perché mi piacciono entrambi i mondi, sia per accontentare la visione più pratica e pragmatica dei miei genitori. Lisbona è comunque stata fondamentale per quanto riguarda il mio approccio al mondo della nona arte. Dopo essermi trasferito, mi imbattei per caso in un grande magazzino di fumetti nel centro della città. È in quel momento che ho iniziato a leggerli abitualmente e, successivamente, a pensare di poterli fare io stesso. Prima, purtroppo, venendo dalla periferia a sud della capitale, le occasioni erano poche, non essendo nemmeno semplice trovarli in vendita nelle edicole. Inoltre, raggiungere il centro non era per nulla facile, visto che la mia zona era veramente mal collegata. Non c’è stato, dunque, un momento, dopo aver finito la scuola d’arte, in cui ho preso una svolta inaspettata. Tutto parte da prima, e così, durante gli anni di accademia, ho portato avanti sia gli studi di scultura sia la passione per leggere e fare fumetti. Al termine della scuola d’arte, ho lavorato per un anno come scultore, nello specifico il marmo. Per quanto mi piacesse, nonostante sia un mestiere molto pesante, non mi sentivo pienamente appagato. Io amo scrivere, raccontare, parlare, come ti sarai accorto dalle chiacchiere che ci siamo fatti prima di cominciare l’intervista. Fare fumetti si è rivelata dunque una scelta naturale, quasi necessaria, per poter soddisfare questo mio bisogno.

In Italia sei principalmente noto per il tuo lavoro con la Marvel e per il meraviglioso Le molte morti di Laila Starr, scritto da Ram V. Ormai siete un duo consolidato: anche Rare Flavours vede i tuoi disegni dare vita ai testi di Ram V. Mi racconti come è avvenuto il vostro primo incontro e, conseguentemente, come è nata la volontà di lavorare assieme?

Tutto nasce in maniera piuttosto semplice, spontanea. Ram, dopo aver buttato giù la storia che sarebbe poi diventata Le molte morti di Laila Starr, si mise alla ricerca di un disegnatore e, dopo aver visto alcuni miei lavori, mi contattò. Il progetto mi interessò fin da subito, solo che dovemmo posticipare il tutto per permettermi di finire di lavorare a Cyberpunk 2077: Big City Dreams. Si arriva così alla prima riunione online tra me, Ram e l’editore BOOM! Studios, in cui finalmente potemmo parlare in maniera più approfondita del progetto. Sottolineo “online”, visto che la cosa avvenne quando il mondo era ancora colpito dalla pandemia di COVID-19. Al termine ero ancora più entusiasta, anche se il vero momento in cui realizzai che cosa mi era capitato tra le mani fu quando Ram mi inviò la sinossi completa. Mi ricordo ancora le parole che dissi alla mia ex ragazza: “Se faccio le cose per bene, questo è un progetto che può puntare agli Eisner Award, ne sono sicuro.” Ram aveva concepito una storia di una potenza unica, rara, ma soprattutto che catturava perfettamente lo zeitgeist. La pandemia ci aveva, e ci ha, segnati in maniera indelebile: tutti, chi più chi meno, eravamo spaventati, preoccupati per noi stessi e per le persone che avevamo accanto. Era la storia giusta per il momento giusto. Solo dopo aver terminato il fumetto ci siamo conosciuti, quando, dopo mesi, resero di nuovo possibili gli spostamenti. Approfittai di un viaggio a Londra, che avevo prenotato per andare a trovare mio fratello, per conoscere finalmente Ram di persona. Ricordo ancora il pranzo che abbiamo fatto: è stato molto bello.

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Rare Flavours ha un incipit abbastanza folle. Se fosse una produzione hollywoodiana, la logline sarebbe qualcosa tipo: un demone appassionato di cucina vuole girare un documentario sul cibo. Mi racconti cosa hai pensato quando Ram V ti ha proposto per la prima volta di lavorare a questo progetto? Se Le molte morti di Laila Starr ti ha travolto fin da subito, lo stesso di può dire per Rare Flavours?

Non esattamente. La prima volta che Ram mi parlò di Rare Flavours fu molto vago. Diciamo che riuscì a convincermi facilmente solo accennandomi che sarebbe stata una storia incentrata sulla cucina, visto che io amo mangiare. Fu solo quando ci incontrammo a San Diego, per la cerimonia degli Eisner Award, che me ne parlò in maniera più approfondita, senza però mai scendere troppo nei particolari. Il progetto era ancora in divenire. In quel momento fui entusiasta delle sue parole, ma poi, a mente fredda, dopo essere tornato in Portogallo, iniziai ad avere dei dubbi: ma che storia assurda è mai questa?! L’unica cosa che avevo capito era, per l’appunto, che il tutto sarebbe girato attorno a un demone appassionato di cucina. Ti confesso che, nonostante avessi già accettato di prendere parte alla cosa, ero abbastanza preoccupato. Solo quando Ram mi inviò la sinossi iniziai a comprendere le potenzialità del progetto e le preoccupazioni, in parte, svanirono. Dico in parte perché, rispetto a Le molte morti di Laila Starr, Rare Flavours è stato realizzato capitolo per capitolo. Mentre Ram scriveva la sceneggiatura per il secondo, io mettevo giù le matite per il primo, e via discorrendo. È stato un po’ come guidare nella nebbia. Dove sto andando? Nella direzione giusta o sbagliata? Ne sono veramente sicuro? Mi ponevo spesso queste domande, anche perché si tratta di un fumetto complesso, al cui interno ci sono diversi livelli di comunicazione, visiva ed emozionale. Rare Flavours è una storia più sensibile e delicata rispetto a Le molte morti di Laila Starr. Non parla di un amore appassionato o di morte. Riuscire a tradurre tutto questo in tavole non è stato facile, ma alla fine sono contento del lavoro che è venuto fuori.

In effetti il cibo è, senza scendere troppo nei particolari, l’elemento centrale del fumetto, come emerge anche solo dal titolo. In Rare Flavours se ne parla di continuo, quindi te lo chiedo: esiste per te un piatto, un alimento, che appena ne senti anche solo l'odore, subito ti fa viaggiare, portandoti indietro nel tempo? E se sì, qual è e dove ti porta?

Tanti, tantissimi. Voglio però risponderti al contrario. Devi sapere che io sono da sempre affascinato da quelle ricette che le persone anziane sanno fare particolarmente bene. Ricette che, a vederle, sembrano essere semplici, ma in pratica non lo sono. Un esempio? La famosa insalata di pomodori di mio zio. Non è niente di articolato: cipolla, pomodoro, sale… eppure, se mi metto letteralmente di fianco a lui, provando a replicare le sue movenze, non mi viene uguale. Come è possibile? Sono quattro prodotti in croce! Non dovrebbe essere difficile! Eppure, non è lo stesso. Realizzare Rare Flavours ha acceso qualcosa in me, e infatti ora sono al lavoro su un progetto, una fanzine, il cui scopo è proprio quello di recuperare queste ricette da sempre importanti per me e per la mia famiglia. Ho in programma di passare diverso tempo con i miei zii per raccogliere più informazioni e segreti possibile. Si tratta di un progetto intimo, che per il momento ho in mente di distribuire solamente in famiglia. Voglio che queste ricette, e con loro i ricordi legati a esse, non vadano persi o smarriti. Ognuna è molto di più di una semplice lista di ingredienti. Troppo spesso tendiamo a dare per scontate cose che invece sono importantissime, a cui attribuiamo valore solo quando ormai non ci sono più. Questo vale tanto per le tradizioni, popolari come familiari, quanto per le persone. Il rischio di perdere tutto ciò è molto grande. Voglio tenerne traccia, documentare.

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E in tutto questo il cibo ha un ruolo fondamentale.

Assolutamente sì, non solo come soggetto, ma anche come veicolo. Ti faccio un esempio per spiegarmi meglio. Mio padre ha preso, di recente, la decisione di scrivere le sue memorie, per tenere traccia della sua infanzia, della vita di paese e delle difficoltà che lui e la sua famiglia hanno dovuto affrontare. Non ha ancora cominciato. Un giorno, parlandoci, gli ho detto: “Papà, se non le scrivi tu, nessuno lo farà, di certo non i tuoi fratelli. Tu sei l’unico in grado di farlo, e sai che è una cosa importante.” Iniziare il progetto della fanzine sarà anche un mezzo per provare a entrare in intimità con lui, in modo da riuscire a dargli la spinta necessaria per iniziare a raccontare e, soprattutto, raccontarsi. Il cibo mi sembra l’arma migliore per creare un clima di intesa, di tranquillità e familiarità, in cui potersi aprire senza paura.

Il tuo ritratto dell’India è “verace” tanto quanto quello che emerge dai testi di Ram V, prima con Le molte morti di Laila Starr e ora con Rare Flavours. Lo si nota soprattutto nelle vignette dedicate alle ricette: sembra quasi che tu, quei piatti, li abbia assaggiati tutti prima di disegnarli. L’India è un Paese a cui sei sempre stato legato, o hai imparato a conoscerlo lavorando con Ram V?

L’India, ma anche lo Sri Lanka e l’Indocina tutta, sono Paesi a cui sono legato da sempre. È una cosa che, in realtà, accomuna un po’ tutti i portoghesi, per via della storia coloniale del nostro Paese. Gli indiani di Goa, in particolare, sono molto vicini a noi. Rimanendo proprio sul cibo, la loro cucina è una meravigliosa unione di ciò che di meglio la cultura indiana e quella portoghese hanno da offrire. Ma non solo: in ogni aspetto di Goa si riflette questa contaminazione, a partire dal fatto che, ancora oggi, molti conoscono e parlano il portoghese. Per farti capire quanto questo legame sia forte, Antonio Costa, il primo ministro del Portogallo in carica dal 2015 al 2024, ora Presidente del Consiglio europeo, è proprio originario di Goa! Detto ciò, senza scomodare cariche importanti, basta guardare alla zona in cui sono cresciuto, nella provincia di Lisbona, popolata da tante persone provenienti dalle ex colonie, non solo asiatiche ma anche africane. La moglie di mio fratello, per farti un esempio, è originaria del Mozambico e, allo stesso tempo, il suo modo di cucinare è fortemente influenzato dalla tradizione di Goa. Insomma, alla fine si torna sempre a parlare di cibo e di che collante straordinario sia. Ormai, a questo punto dell’intervista, penso proprio che tu abbia capito quanto sia stato facile per me dire di sì, senza pensarci troppo, al progetto di Ram, per quanto folle potesse sembrare all’inizio!

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Scendendo più nel dettaglio di Rare Flavours, il design di Rubin/Bakasura, il demone protagonista del fumetto, è meraviglioso. Mi racconti com’è nato? Quante prove e ripensamenti ci sono stati prima di arrivare al risultato definitivo?

In realtà non è stato un lavoro particolarmente lungo. Io e Ram, inizialmente, non eravamo d’accordo: lui aveva immaginato Rubin come un signore elegante, alto e slanciato. Un classico indiano di alto rango. Io, invece, avevo in mente tutt’altro. Nella mia testa doveva essere sì un uomo distinto, ma anche massiccio, corpulento. Rubin ha un modo di porsi particolare, che mi ha subito fatto pensare a un famoso artista portoghese contemporaneo, Cabrita Reis. Anche lui, proprio come Rubin, è un accanito fumatore di sigari. Da lì ho cominciato a fare diverse prove, aggiungendo e togliendo dettagli come i baffoni che, nel design definitivo, gli sono rimasti. Alla fine, Ram e l’editore hanno concordato con me: dopo tutto, stiamo parlando di un demone la cui ossessione è il cibo! Doveva essere enorme!

Nei tuoi lavori, questo in particolare, si respira anche tanto cinema. Lo si percepisce sia dalla scelta di ricorrere spesso all’utilizzo di strisce continue, come a simulare lo scorrere dei fotogrammi della pellicola, sia dalla grande attenzione che dedichi ai volti dei tuoi personaggi. Quando disegni e componi le tue tavole, quali sono le tue principali fonti di ispirazione?

Ci hai preso in pieno. Sono da sempre un grande appassionato di cinema. Lo amo in tutte le sue forme, e proprio per questo rispondere alla tua domanda è molto difficile. Anche solo rimanendo in Italia, potrei farti molti nomi. Il cinema di Federico Fellini mi tocca particolarmente, così come mi ha sempre affascinato l'incredibile abilità di Michelangelo Antonioni dietro la macchina da presa. Tra i registi contemporanei, invece, amo molto il cinema di Alice Rohrwacher. Detto ciò, mi fermo qui per evitare di dilungarmi, ma come giustamente hai notato, sì: è dal cinema che traggo maggiore ispirazione. Dai fumetti non accade, di frequente, lo stesso, non per particolari motivazioni, ma semplicemente per una questione di gusto personale. Ciò che mi piace leggere, infatti, è spesso molto lontano dalla mia arte, da quello che mi piace scrivere, disegnare, raccontare. Amo i fumetti punk, esagerati, folli. Di conseguenza, non è un qualcosa da cui traggo ispirazione, o almeno non in maniera diretta e conscia. Per farti un esempio, una delle mie ultime scoperte è stato il quadrinhos de maconheiro, una sorta di sottogenere del fumetto brasiliano caratterizzato da uno stile psichedelico, surreale, che mescola satira sociale a visioni allucinate, come se fossero stati creati, e pensati per essere letti, sotto l’effetto della marijuana.

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In effetti hai ragione, non c’entra molto con la tua arte.

Esatto! A me piace questa tipologia di fumetti. Detto ciò, è probabile che, inconsciamente, in qualche modo mi abbiano ispirato, dato degli input, anche perché non si rimane mai impassibili davanti all’arte. Trovo tanta energia in questo tipo di storie, anche se non è ciò che voglio fare io. Mi dà un enorme senso di libertà usufruire di un’arte lontana dalla mia. Mi rende sempre più fresco, rilassato e motivato quando è il mio turno di sedermi al tavolo da disegno.

In chiusura ti faccio una domanda sui colori, che in Rare Flavours sono magnifici. Mi racconti a cosa pensi prima di partire e come concepisci la colorazione delle tue tavole?

La colorazione è una delle prime cose a cui penso, fin dallo storyboard: mentre butto giù i primi schizzi ho già un’idea cromatica in testa. Detto ciò, non di rado questa evolve in qualcos’altro: il disegno è sempre un processo in divenire. Prima di mettermi a disegnare, nella mia mente mi immagino la tavola già completa. Questo è successo soprattutto in Rare Flavours, dove i colori hanno anche una funzione narrativa importante. Quando lavoro a un fumetto, mi concentro molto sulle immagini e sullo scorrere di esse, sulla loro capacità di raccontare anche senza l’ausilio del testo scritto. In questo, almeno per me, il colore gioca un ruolo fondamentale.

Intervista di Andrea Martinelli


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