Dossier AkaB: Non un atomo, un’opera disturbante e potente su amore e dolore
“Ma come posso abituarmi a questa atroce sensazione di essere uno, dopo aver vissuto l’essere due?”
È da questa consapevolezza che nasce una verità tanto amara quanto inevitabile: non esiste amore senza dolore.
Il fumettista AkaB parte proprio da questo assioma per costruire un’opera disturbante e potente, in cui tre relazioni vengono raccontate come tre variazioni sullo stesso tema: il legame profondo tra amore e sofferenza. Tre storie brevi, intrecciate tra loro in una narrazione a scatole cinesi, mostrano un amore cercato nel dolore, perso nel rimpianto o negato da un dio disilluso.
Qui si descrive anche la terza relazione, la più metafisica: quella tra Dio e l’umanità. In un dialogo straniante tra Mina e l’Onnipotente - curiosamente rappresentato da un lampione della luce -, emerge una visione cinica e crudele del Creatore, che ammette di aver amato l’uomo solo per i primi cinque minuti della Creazione, per poi disinteressarsene del tutto.
Il finale del fumetto smorza con ironia il crescendo drammatico. Klaus, ancora sul divano, commenta il film: “E finisce così? Senza senso? Tutto questo tempo per dire che cosa? Che Dio se ne frega? Grazie tante, già lo sapevamo.” Una battuta amara, che suona tanto come una chiusa quanto come un’ulteriore pugnalata.
Lo stile grafico di AkaB accompagna perfettamente il tono e le ambizioni del racconto. Ogni tavola è divisa in due vignette rettangolari poste in orizzontale, delimitate da bordi marcati, netti, in contrasto con le linee leggere usate per i corpi, i volti e gli ambienti. Il bianco, il nero e il grigio dominano l’intera opera: una scala cromatica minimale, ma ricca di significati, che l’autore sfrutta per giocare magistralmente con luci e ombre, pieni e vuoti. Un’estetica essenziale e inquieta, che amplifica l’atmosfera sospesa e allucinata del racconto.
In un momento particolare della narrazione, i diversi piani della realtà – quello di Klaus che guarda il film e quello di Mina nel film – sembrano fondersi, come in un sogno. Mentre è stesa a letto, Mina commenta: “È la tv del vicino. Guarda sempre documentari sugli animali. No, non sempre. Certe volte guarda anche dei film assurdi. Film che sembrano esistere solo nella sua tv.” Una battuta sottile che incrina i confini stabiliti dallo stesso autore e suggerisce che forse, nell’universo narrativo di AkaB, tutte le storie sono interconnesse.
Continua il nostro Dossier AkaB, composto da articoli, recensioni, approfondimenti e puntate di Building Stories dedicati ad AkaB.
Oggi Mattia Mirarco parla di Non un atomo di inferno entrerà nel mio paradiso, volumetto che raccoglie tre storie brevi sul legame tra amore e dolore, uscito in origine in inglese (con il titolo Not an atom of hell shall enter into my paradise) per una mostra a Berlino, poi diventato un piccolo spettacolo teatrale e successivamente proposto in italiano da Sputnik Press.
Ogni storia d’amore ha una fine. Non ci credete? Eppure dovrebbe essere chiaro fin dall’inizio. “Finché morte non vi separi”, recita la celebre formula nuziale: anche gli amanti più devoti, prima o poi, devono dirsi addio. I più fortunati restano insieme per decenni, altri solo per qualche mese o settimana. E poi ci sono le interruzioni più improvvise: un tradimento, un’incompatibilità, un cambiamento inatteso. Ma, in ogni caso, il punto di arrivo è sempre lo stesso: la fine.
È da questa consapevolezza che nasce una verità tanto amara quanto inevitabile: non esiste amore senza dolore.
Il fumettista AkaB parte proprio da questo assioma per costruire un’opera disturbante e potente, in cui tre relazioni vengono raccontate come tre variazioni sullo stesso tema: il legame profondo tra amore e sofferenza. Tre storie brevi, intrecciate tra loro in una narrazione a scatole cinesi, mostrano un amore cercato nel dolore, perso nel rimpianto o negato da un dio disilluso.
Non un atomo di inferno entrerà nel mio paradiso si apre con una donna bendata, eccitata, pronta a consumare un rapporto sadomaso con Klaus, il suo partner. Lui, però, decide di rimandare l’atto, forse per alimentare il desiderio, e accende la televisione. Da qui, lo schermo diventa portale verso un’altra storia, un altro piano narrativo. Sul televisore va in onda un film bizzarro con protagonista Mina, una donna devastata dalla fine di una relazione surreale con il diavolo. Invocato durante un bagno in vasca, Satana si manifesta come un fluido nero che emerge dalle tubature. Ne nasce una relazione in stile vittima e carnefice, in cui si alternano possessioni erotiche e momenti di noia cosmica, che il re delle legioni demoniache trascorre giocando alla PlayStation. Quando il diavolo scompare senza una spiegazione chiara, Mina si aggrappa all’unica possibilità che le resta: si veste, esce e va a pregare Dio in persona, chiedendogli di ridarle il suo amante infernale.
Qui si descrive anche la terza relazione, la più metafisica: quella tra Dio e l’umanità. In un dialogo straniante tra Mina e l’Onnipotente - curiosamente rappresentato da un lampione della luce -, emerge una visione cinica e crudele del Creatore, che ammette di aver amato l’uomo solo per i primi cinque minuti della Creazione, per poi disinteressarsene del tutto.
Il finale del fumetto smorza con ironia il crescendo drammatico. Klaus, ancora sul divano, commenta il film: “E finisce così? Senza senso? Tutto questo tempo per dire che cosa? Che Dio se ne frega? Grazie tante, già lo sapevamo.” Una battuta amara, che suona tanto come una chiusa quanto come un’ulteriore pugnalata.
È straordinario come AkaB riesca, in appena cinquanta tavole, a dilatare il racconto fino a toccare le dimensioni del mito, del cosmo e dell’inconscio. Si parte dal salotto di una casa e si finisce a esplorare Inferno e Paradiso, passando per galassie lontane e visioni teologiche. Il tutto per poi tornare, beffardamente, sul divano di un uomo con una maschera da coniglio. Anche i personaggi, tratteggiati con pochi gesti e parole, prendono vita con sorprendente intensità. Riusciamo a intuire la dinamica tra Klaus e la sua compagna, sentiamo il vuoto esistenziale di Mina, percepiamo il fastidio millenario di un Dio stanco della propria creazione.
Lo stile grafico di AkaB accompagna perfettamente il tono e le ambizioni del racconto. Ogni tavola è divisa in due vignette rettangolari poste in orizzontale, delimitate da bordi marcati, netti, in contrasto con le linee leggere usate per i corpi, i volti e gli ambienti. Il bianco, il nero e il grigio dominano l’intera opera: una scala cromatica minimale, ma ricca di significati, che l’autore sfrutta per giocare magistralmente con luci e ombre, pieni e vuoti. Un’estetica essenziale e inquieta, che amplifica l’atmosfera sospesa e allucinata del racconto.
In un momento particolare della narrazione, i diversi piani della realtà – quello di Klaus che guarda il film e quello di Mina nel film – sembrano fondersi, come in un sogno. Mentre è stesa a letto, Mina commenta: “È la tv del vicino. Guarda sempre documentari sugli animali. No, non sempre. Certe volte guarda anche dei film assurdi. Film che sembrano esistere solo nella sua tv.” Una battuta sottile che incrina i confini stabiliti dallo stesso autore e suggerisce che forse, nell’universo narrativo di AkaB, tutte le storie sono interconnesse.
E proprio su Mina si può formulare un’interpretazione più profonda: è possibile che sia rimasta incinta del diavolo, ed è per questo che lo cerca con tanta ostinazione. Un dettaglio inquietante rafforza questa teoria: “La Vergine Maria, quanto gli piaceva. Ne parlava in continuazione. Era l’unica donna di cui ero gelosa,” dice Mina a un certo punto, instaurando un parallelo blasfemo ma affascinante con la maternità divina. Come Maria ha concepito il Cristo, Mina potrebbe portare in grembo l’Anticristo, frutto di un’unione oscura e demoniaca.
E l’ultima tavola, con la raffigurazione di uno strano spermatozoo dalla testa nera e dalla coda appuntita, sembra quasi confermarlo: un indizio grafico che sigilla la possibilità che il Male abbia già messo radici.
Non un atomo di inferno entrerà nel mio paradiso è un’opera breve ma potentissima, che ci ricorda quanto l’amore e il dolore siano inseparabili. E quanto, forse, solo l’ironia riesca a salvarci, quando tutto il resto brucia.
E l’ultima tavola, con la raffigurazione di uno strano spermatozoo dalla testa nera e dalla coda appuntita, sembra quasi confermarlo: un indizio grafico che sigilla la possibilità che il Male abbia già messo radici.
Non un atomo di inferno entrerà nel mio paradiso è un’opera breve ma potentissima, che ci ricorda quanto l’amore e il dolore siano inseparabili. E quanto, forse, solo l’ironia riesca a salvarci, quando tutto il resto brucia.