Dossier AkaB: l'uomo oltre l'artista - prima parte

Un viaggio nei ricordi e nell'eredità umana, oltre che culturale e fumettistica, di un artista che ha attraversato e riplasmato la scena underground italiana


Non solo l'arte, ma anche l'essere umano che la realizza e che lascia un segno nelle persone che ha intorno. Così, oltre a sondarne l'eredità artistica e culturale, nel nostro percorso tematico su Gabriele Di Benedetto, detto AkaB, abbiamo deciso di includere anche i ricordi di alcune delle persone che hanno condiviso con lui un pezzo di strada (in qualche caso lungo decenni). Artisti a loro volta di enorme importanza, che ci hanno portato frammenti della loro esperienza umana.

Il pezzo fa parte del nostro Dossier AkaB, composto da articoli, recensioni, approfondimenti e puntate di Building Stories dedicati ad AkaB, fumettista e regista italiano prematuramente scomparso nel 2019. Ne rappresenta il cuore pulsante e ancora vivo. E sarà seguito presto da un altro pezzo con altri tasselli di questo mosaico.

SQUAZ (PASQUALE TODISCO)

Ho due ricordi di Gabri a cui sono affezionato. Il primo riguarda una volta che stavamo andando insieme a un festival. Eravamo in aereo, in compagnia di altri fumettisti della banda Dummy e delle fidanzate di alcuni di noi. Al momento della partenza vidi che Gabri si irrigidiva, come se fosse in tensione. Il collo, le spalle, gli occhi sbarrati. D'istinto gli presi la mano e gliela tenni così fino al decollo. E quello bastò. Dopo qualche tempo Gabri mi disse di avere paura del volo e che secondo lui il mio gesto così automatico era legato al fatto che ero diventato padre da poco. Il che era vero. Il secondo ricordo invece fu di una volta in cui, chiacchierando, gli confidai di essere in un momento di crisi se non addirittura di depressione. A lui che la depressione la conosceva benissimo. E, tutto d'un tratto, lo vidi interessarsi personalmente a me come non era mai capitato. Senza dare giudizi o consigli del cazzo. Solo con la presenza. E così rimase, quasi a sorvegliarmi, finché dopo qualche tempo il mio brutto momento passò da solo. Se dovessi trarne qualche conclusione, dovrei dire che Gabri era una delle persone più sensibili che abbia mai conosciuto. Uno dei pochissimi con cui si poteva parlare veramente di tutto. E anche uno che quando entrava in una stanza cambiava immediatamente l'aria intorno a sé. Forse un giorno la scienza spiegherà questi fenomeni, per adesso teniamoci la sua arte.

OFFICINA INFERNALE

Ricordo che parlavamo fino a quasi mattina, fumetti, cinema, musica, cazzate, idee, progetti, di quello che stava succedendo, di quello che stava cambiando, ho sempre ammirato la sua conoscenza…

MARCO K GALLI

Con Gabri si conversava spesso su Messenger. Lui mi scriveva di notte e io gli rispondevo di giorno. Così, in modo un po' antico che ricorda gli scambi epistolari, con i tempi di scrittura e di consegna più lunghi rispetto a WhatsApp, le nostre conversazioni duravano giorni. In questi dialoghi c'è un Gabriele che conoscevamo in pochi, quello vero, fragile e umanissimo. Quello che pensava prima agli altri, ai suoi doveri, piuttosto che alla propria salute. Mi piacerebbe che chi lo frequentava superficialmente potesse conoscere questo suo lato, perché, da vivo, stava sulle balle a molti. Diceva le cose senza troppi filtri e chi riceveva critiche si irrigidiva subito. Che "nani"! Tutti tronfi con i complimenti, tutti così anarchici, e poi appena c'è una voce discordante, si trasformano in piccoli borghesi arroccati sul loro ego. Quando rileggo questi scambi di cui ti parlavo, mi torna in mente la lucidità intellettiva di Gabriele, merce rara, soprattutto oggi... merce rara che manca molto.

ALBERTO PONTICELLI

Ho conosciuto Gabriele nel 1994 (per merito di Graziano Origa, un’altra persona che ha avuto meno di quanto abbia dato), e abbiamo percorso tutta la nostra vita professionale e non insieme, seppur con alti e bassi. Ma era come un fratello, della famiglia accetti alti e bassi, l’affetto è sopra a tutto.

Penso che la sua opera migliore, al di là della qualità di ciò che ha fatto nel fumetto (anche se fumetto è riduttivo, Gabriele si è espanso artisticamente in qualunque campo) sia stata proprio la sua vita, vissuta al servizio della curiosità, e dell’avventura come conseguenza. 

Gabriele ha sempre cercato di rispondere alle domande che gli nascevano e poi turbinavano in testa. Per ogni questo si lanciava alla ricerca di risposte attraverso le persone, i libri, i viaggi. In questo modo dava un senso alla parola arte, che in qualche modo dovrebbe rappresentare quella cosa che ti fa tornare a casa diverso da come ne sei uscito. 

Gabriele non aveva peli sulla lingua, ma quello che diceva, se sapevi ascoltare senza essere permaloso, aveva sempre senso e ti apriva nuove direzioni. Era un agitatore, lo faceva perché era profondamente innamorato del fumetto.

Ci potevi litigare, e succedeva spesso, ma finiva sempre in una risata. 

A molti non piaceva, credo perché li mettesse di fronte alla loro mediocrità, così preferivano recintarlo con qualche frase fatta, o qualche artificio maldestro, cercando di sminuirlo.

Non racconterò aneddoti sgradevoli da parte dell’intellighenzia italica del fumetto, ma non è stato un percorso facile per Gabri.

Gabriele cercava di portare avanti il concetto di Gioco, come amava dire spesso. Giocare, termine nobile che ha a che fare con la leggerezza, ma anche con la voglia di mettersi sempre in discussione provando nuove direzioni. 

Giocare col fumetto che, come qualsiasi altra forma di espressione, merita di essere sperimentato, nelle sue potenzialità espressive e tecniche, nella capacità di trovare nuovi ritmi, di giocare con la superficie della pagina, nella possibilità di essere allo stesso tempo disturbante e meraviglioso.

Potevi parlare con lui per ore, spesso abbiamo fatto le cinque del mattino seduti su qualche divanaccio, aprendo nuovi discorsi ad ogni frase, un flusso di coscienza continuo che ti faceva sempre venire voglia di creare.

Ogni volta accentrava gruppi di persone con naturalezza. Aveva le qualità di un leader, ma questa cosa lo metteva a disagio. Non voleva fare il maestro, cercava sempre e solo risposte alle sue infinite domande. Ma il carisma si percepiva sempre, probabilmente perché in primis sapeva ascoltare e era dotato di una lucida empatia verso tutti.

Ci siamo incontrati spesso in progetti corali, gli piaceva l’idea di gruppo come momento creativo. Dopo lo Shok Studio ci dividemmo per qualche tempo, c’erano questioni irrisolte che ci hanno allontanati; lentamente ci siamo riavvicinati. Gli proposi questa cosa delle 5 fasi. Gabri veniva da un periodo difficile e mi pareva una idea interessante per aiutarlo a ripartire, così creammo i Dummy. Si inventò una chat di gruppo su Facebook, perché alcuni di noi vivevano sparsi per l’Italia.

Divenne infinita ed era piena di discussioni, scene madri, deliri vari e idee pazzesche. Chissà se qualcuno di noi l’ha tenuta, sarebbe un libro interessantissimo, ma temo ci fossero parecchie cose scritte che è meglio che restino sepolte.

Anche in quel caso, a dipanare la matasse dei vari eghi coinvolti, ci pensò lui, e devo ammettere che la sua impronta sul libro fu decisamente necessaria.

Durante il percorso del suo Progetto Stigma era spesso preoccupato, stanco, per la responsabilità che si era assunto. Cercava di difendere gli interessi degli autori, di promuoverne alcuni che facevano di tutto per autosabotarsi (a volte lanciandogli improperi che erano crudelmente ingiusti, ma il panico ti fa sragionare. E lui incassava, incassava sempre, come un pugile che non va mai al tappeto, perché la motivazione è più forte delle botte). Stava diventando quasi paterno, il che, per chi lo conosceva, era un sintomo importante di cambiamento. Cercava di dare un senso sempre più alto a ciò che stava costruendo. Ma era faticoso, per lui, fare tutto da solo.

L’ultima volta che l’ho visto è venuto a casa mia, aveva bisogno di sfogarsi, sentiva di aver sbagliato tutto, di non avere ottenuto nulla da quanto aveva fatto nella sua vita. Cercai di spiegargli quanto si sbagliasse, ma provavo un forte astio nei confronti di un ambiente che ha sempre fatto troppo poco per dargli una mano professionalmente e rendergli il giusto credito per ciò che ha fatto.

Credito arrivato abbondante dopo la sua morte; come sempre apprezziamo quando è troppo tardi, o forse quando un personaggio scomodo diventa finalmente gestibile.

Penso spesso a quando scherzavamo dicendo che non ci importava minimamente di sopravvivere grazie alle nostre opere, perché da morti non puoi goderti il successo postumo. 

Ecco, se un monito può venire dalla sua storia, è quello di imparare a celebrare i vivi e supportarli senza invidie; e fare nostra la lezione che ci ha lasciato: amare l’incognito e affrontare gli abissi per costruire nuove domande, e nuovi percorsi, con passione e onestà intellettuale.

Per riempire questa scatola, il fumetto, di senso e urgenze.

DARIO PANZERI

Ho conosciuto AkaB ai tempi dello Shok Studio perché volevo farne parte. Avevamo i demoni dentro e lui era dirompente di natura. Nel tempo abbiamo preso strade diverse, ci siamo allontanati, riavvicinati e allontanati di nuovo. Mi ha sempre coinvolto nei suoi neri progetti, quali che fossero. Il nostro è stato un rapporto ora di profonda intesa ora di feroci divergenze, che va dallo Shok Studio fino al Progetto Stigma.

Cos'è oggi lui per me? Per dirla alla Herzog, Mein liebter Feind - AkaB


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