ARF! Festival 2025 - Clarrie Pope, il fumetto come attivismo e racconto sociale
Tra lotte sociali e lotte interiori, un racconto corale su tematiche estremamente attuali
Tra le novità dell’Arf! Festival di quest’anno c’è stato il nuovo format Best Nine, con protagonisti nove ospiti internazionali, di cui era possibile assistere ai talk, visionare le mostre, comprare i fumetti e avere delle dediche, tutto direttamente in fiera, in un'unica sala.
Tra le autrici e gli autori ospiti, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Clarrie Pope per parlare di Welcome home, il suo fumetto d'esordio firmato insieme alla sorella Blanche ed edito in Italia da Momo Edizioni per la Collana Estranei. Welcome home parla di un gruppo di amici che occupa abusivamente un appartamento in un grattacielo di Londra per evitarne la demolizione e lo sgombero di tutti i suoi abitanti. Nonostante le buone intenzioni, salvare l’edificio non sarà facile, convivere tutti insieme ancora meno!
Tra lotte sociali e lotte interiori, diritti, politica, architettura e ovviamente fumetti, ecco cosa ci ha raccontato Clarrie Pope.
Welcome home racconta di un gruppo di squatters che decidono di occupare un appartamento in una torre che sta per essere demolita. Cosa ti ha spinto a realizzare un fumetto su questo argomento?
Lo squatting era una pratica molto diffusa a Londra, fino a qualche anno fa. Adesso hanno cambiato la legge, perciò è diventato molto più difficile farlo. È una pratica appunto, non c’è dietro un'identità politica. Abbiamo deciso di parlare proprio di questo un po’ perché sia io che mia sorella abbiamo fatto questa esperienza, un po’ per motivi politici, perché la demolizione di complessi di case popolari avviene spessissimo in questo periodo a Londra.
Volevamo raccontare com’è fare squatting, il rapporto che hai con i vicini e con gli altri squatter, la difficoltà di fare questa cosa. Una volta deciso il contesto generale della storia, volevamo concentrarci sulle relazioni tra le persone e sui loro momenti più quotidiani.
Il tuo è un fumetto scritto a quattro mani, insieme a tua sorella Blanche. Com’è stato condividere l'esperienza di scrittura insieme a lei?
Inizialmente avevo deciso di lavorarci da sola. Tuttavia, mentre scrivevo il fumetto, mi sono resa conto che per me era importante che almeno uno dei protagonisti lavorasse in una casa di riposo. Visto che mia sorella ha lavorato in diverse case di riposo, sapevo che poteva darmi una testimonianza dall’interno. Blanche è anche una persona molto divertente, e io volevo realizzare un fumetto comico, perciò le ho chiesto di scrivere la storia insieme e ha funzionato. Abbiamo prima realizzato tutta la sceneggiatura, poi io ho fatto i disegni.
Io e Blanche andiamo molto d'accordo: abbiamo idee simili su cosa ci fa ridere, cosa non fa ridere, come scrivere, le cose che volevamo raccontare. È stato bello avere un'altra persona al mio fianco, soprattutto per un esordio, per una prima volta. Scrivendo una storia umoristica, magari scrivevamo qualcosa pensando che facesse ridere, però confrontandoci ci rendevamo conto che non era così. Quando collabori con qualcuno è importante avere qualcuno con cui condividere tutto, anche che le critiche. Probabilmente tra sorelle è più facile dire “no, questo non funziona”, rispetto che tra amici. Secondo me è andata bene proprio perché eravamo insieme, ma ovviamente dipende dal parente, dal tipo di rapporto che si ha.
Quali sono stati i fumetti e gli artisti di riferimento per il disegno della tua storia?
Quando mi sono trasferita in Italia dieci anni fa, non avevo mai fatto un fumetto. A Bologna ho fatto un corso di disegno, tenuto da Andrea Borgioli, che mi ha insegnato a usare la china e il bianco e nero. Durante il corso ho avuto modo di conoscere i fumetti di Bacilieri, Pazienza, Crepax, Marjane Satrapi. Credo di aver preso da loro il modo di utilizzare il bianco e il nero. All’inizio del corso non sapevo benissimo l’italiano, comprendevo a pieno solo i disegni, perciò ho conosciuto questi autori prima dai disegni che dalle loro parole.
Welcome home è ricco di tematiche d'attualità: gentrificazione, precariato, critica al sistema assistenziale… Quanto è frutto di esperienze personali e quanto invece è romanzato?
È tutta finzione, nel senso che non c'è nulla di realmente esistente, né il quartiere di Londra né le persone all’interno del racconto. È solo ispirato alla realtà e alle nostre esperienze. Non è un documentario, è proprio un romanzo, un racconto di finzione.
Secondo te il mezzo fumetto è adatto per trattare di temi di politica? Un fumetto che vuole parlare di politica come dev'essere fatto, oppure cosa dovrebbe evitare a tutti i costi?
Spesso la politica arriva alle persone tramite le parole della propaganda, manifesti e discorsi seri e pomposi. Per me era importante raccontare come tutto ciò viene realmente percepito, anche prendendolo meno seriamente: in inglese il fumetto è “comic”, mi piace che possa essere comico anche trattando di temi più profondi.
Non posso dire di avere un ricetta per “come si fa un fumetto politico”, ci sono tanti fumetti che lo sono senza esserlo in modo esplicito, magari più intimisti, che però parlando di un individuo parlano automaticamente anche del sistema in cui vive. Il fumetto non è un testo didattico o didascalico che ti impone una visione unica delle cose. Come nel fumetto ci sono tanti personaggi, ognuno con un diverso punto di vista, così nella politica ci sono sempre più personalità o correnti di pensiero, che hanno priorità e interessi diversi. È importante conoscere e avere chiaro l’insieme generale per capire veramente la politica.
I protagonisti per farsi sentire dalle istituzioni cercano l’appoggio del vicinato, che inizialmente è troppo sfiduciato per dargli retta. In un mondo che porta ad isolarsi e a curare solo i propri interessi, perché secondo te è importante conservare i rapporti umani?
Come dicevo lo squatting non è un movimento politico, per cui i gruppi che lo praticano spesso sono molto isolati e subiscono molta pressione. Puoi sentirti molto solo nel mentre, per me era importante far vedere sia il lato migliore che il lato peggiore di questo tipo di esperienza. Non si può vincere tutte le battaglie, non è così facile provare a cambiare il mondo. Quando si vive a stretto contatto con altre persone, quando si fa sempre tutto insieme, come ho scritto anche nel fumetto, talvolta può essere difficile, ma altre volte può essere strepitoso. Vale in generale, anche nella vita.
Nel tuo fumetto l’unica via possibile per riqualificare il quartiere, almeno per i politici, sembra l’abbattimento dei vecchi edifici. Cancellare con un gesto tutte le storie delle persone che hanno abitato lì. Secondo te invece è possibile una via meno distruttiva, che permetta di evitare le demolizioni e gli sfratti, conservando il multiculturalismo dei quartieri popolari e valorizzando l’edificato esistente?
Secondo me dipende per chi è fatta l’architettura. Nel fumetto, il progetto proposto è praticamente uguale al vecchio grattacielo, solo che l’aspetto è più nuovo, gli appartamenti sono più piccoli e costano molto di più. In questo tipo di interventi gli abitanti non ritornano mai a vivere nella zona di origine, ma vengono dispersi in tutta la Gran Bretagna, nonostante abbiano tutto il diritto di avere una casa lì dove hanno sempre vissuto. Queste operazioni non sono mai pensate per le persone che ci abitavano, ma per qualcuno disposto a pagare.
Mi pare che in Francia ci siano stati dei progetti dove ci hanno provato, hanno lasciato la struttura portante e rifatto tutto il resto, migliorandolo anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. In altri casi, più estremi, sicuramente ha senso demolire tutto l’edificio, ma poi bisognerebbe riportarci dentro le persone che lo abitavano.
Altre città europee sono fatte in modo che al centro ci sia la parte più storica, abitata dai più ricchi, e verso l’esterno si sviluppano le periferie. A Londra invece ci sono sempre stati complessi di case popolari in pieno centro, dove prima c’erano fabbriche o porti. Ciò crea un mix culturale di persone che, a mio avviso, è ciò che rende Londra una città interessante. Ma oggi nel centro c’è il quartiere della City, i terreni lì valgono molto di più che in precedenza, perciò non ci vogliono più la classe operaia.
Le amministrazioni pubblicizzano questi interventi dicendo che sono pensati per la comunità, ma sono solo bugie per nascondere la vera violenza che provocano. Nella storia ci sono alcune tavole che mostrano questa doppia narrazione: il comune finge di prendersi cura del quartiere, invece lo distrugge per creare palazzi sterili e senz’anima, per cacciare via le persone indesiderate. La gentrificazione è proprio questo. Secondo me sì, è possibile attuare il miglioramento in questi quartieri, ma solo se i progetti vengono pensati per chi già ci vive.
Ci puoi dire qualcosa sui tuoi progetti futuri?
Al momento sto finendo un fumetto, non posso dire altro. Poi vedremo come va!
Intervista di Claudia Carrozzino