DYLAN DOG #351

L'atteso debutto di Ratigher tra le profondità del male, gli assoli di chitarra e l'angoscia


















Chiunque abbia tenuto gli occhi aperti sul fumetto italiano dell'ultimo decennio non può non aver sentito parlare di Ratigher. L’autore, al secolo Francesco D’Erminionon ha ormai null’altro da dimostrare sulla capacità di esprimere gli aspetti inquietanti e agghiaccianti dell’esistenza. Da Trama Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra, Ratigher ha fornito fulgidi esempi di come l’universo underground possa essere sede di mozioni interessanti e del tutto innovative. Il suo approdo sulla serie regolare dedicata all’Indagatore dell’incubo è la quadratura perfetta del cerchio e questo suo numero di debutto, pur nelle (pochissime) sbavature, ne è l’esempio cristallino.

[Quanto segue potrebbe contenere spoiler nonché simboli esoterici e citazioni di musica hard rock e di canzoni napoletane. 
Ritenetevi avvisati!]



Proviamo a considerarla alla stregua di una canzone. Le parole saranno il soggetto e la sceneggiatura del fumetto, mentre la melodia sarà rappresentata dai disegni. Elementare. E non solo perché sin dall'introduzione dell'albo Roberto Recchioni ci sottolinea il legame imprescindibile tra questa storia e le canzoni dei Led Zeppelin (in particolare dall'album Houses of the Holy), ma perché Ratigher (il cantante), coadiuvato da Alessandro Baggi (il chitarrista e all'occorrenza clarinettista), riesce a imprimere alla storia una musicalità che proveremo a ricostruire.




Intro


Piuttosto che un lento inizio in crescendo, nelle pagine d'apertura si opta per un ritmo veloce, incalzante e (perché no?) a tratti verboso. Dopo aver osservato silenziosamente la nave Eternal Hope colare a picco (emblematico), un urlo squarcia il silenzio.



Veniamo subito introdotti alla presentazione del caso che il nostro dovrà affrontare: in poche pagine Fiona Fenn coinvolge Dylan nell’indagine sulla scomparsa della sua amica Molly MacLachlan, additata dagli abitanti della “ridente” cittadina di Port Frost per i suoi costumi disinvolti. Ha origine così una catena di eventi che presto partono per la tangente, tra antiche leggende e atmosfere sempre più soffocanti. Ratigher sin da subito sembra interessarsi ben poco allo svolgimento (e scioglimento) dell’intreccio, preferendo piuttosto concentrarsi su tematiche più ampie e su ritmi alternativi, sincopati, deliziosi.


Strofe


L'arrivo a Port Frost, luogo che già dal nome gelido non lascia presagire nulla di buono, non è indolore: Fiona scopre che la sua amica Molly è morta. Il suo funerale coincide con il susseguirsi di scene surreali e raccapriccianti: nelle reazioni dei concittadini di Fiona è possibile notare un odio disarmante ma anche un interesse morboso verso la morte, concetto purtroppo alquanto attuale e ben poco fantasioso (già brillantemente espresso da Tuono Pettinato, altro membro dei Fratello del Cielo al pari di Ratigher, nel suo bellissimo Corpicino). Fiona invece affronta il dolore legato alla perdita della sua amica con un'umanità e una sofferenza che non sono solo autentiche ma vengono rappresentate in maniera coinvolgente. Al suo fianco l'Indagatore dell'incubo si stupisce, si arrovella, si indigna, si pone dubbi, si contraddice. Il Dylan qui ritratto è un indagatore dell'esistenza, che cerca di andare a fondo su uno dei quesiti che atrocemente pesano sull'animo umano: le origini del male.




Ritornelli e citazioni

"La strada verso il male sta riaffiorando..."


Ratigher decide di permeare la storia di leggende, metafore e suggestioni che riportano più volte a canzoni, libri e film sulle tematiche occulte e oscure. Così, mentre appare più volte, foriero di cattivi auspici, il personaggio del vecchio (quasi che le sue comparse fossero il ritornello di una canzone), vengono tirate in ballo alcune leggende connesse a dei giganti mitologici e a delle rocce peculiari presenti sul fondo del mare, rintracciabili anche sulla copertina del già citato Houses of the Holy dei Led Zeppelin. C'è tutto un discorso sull'amata band hard rock che ritorna in più punti ("Stavo facendo un incubo [...] Era ambientato negli anni Settanta. Aveva una colonna sonora strepitosa.") e che risalta particolarmente nella sequenza del clarinetto in cui viene mostrato il simbolo ZoSo (cfr pag.32). 


Tale simbolo, presente sulla quarta di copertina del IV album dei Led Zeppelin (privo di titolo ufficiale e quindi conosciuto dai più proprio come "ZoSo") fu scelto dal chitarrista Jimmy Page ed è notoriamente e indissolubilmente legato all'esoterismo e all'occulto.
Per rimanere in ambito musicale ci tocca annotare che poco prima c'è un errore imperdonabile nella sceneggiatura: Dylan afferma di esser sicuro che, oltre a lui, solo Woody Allen al mondo a suona il clarinetto. Però, come ci ricorda il nostro audace esperto di musica partenopea Grullino Biscottacci, vogliamo davvero trascurare il povero Renzo Arbore??!?



Con l'incedere della storia vengono tirate in ballo atmosfere e citazioni riconducibili a un grande maestro dell'angoscia cinematografica e televisiva,che risponde al nome di David Lynch (a partire dal cognome di Molly Maclachlan, che è lo stesso dell'attore feticcio di Lynch, Kyle MacLachlan). Citazioni a parte (ce ne sarebbero altre mille, ma non staremo a tediarvi oltre), Ratigher crea una crescente tensione narrativa davvero coinvolgente.
L'orrore vero, quello che ti tiene sveglio, quello che non riesci a mandare via.
L'angoscia.

I dialoghi asciutti, essenziali del Ratigher autore di graphic novel si mischiano a tavole con testi più "lunghi", come conseguenza della proverbiale necessità di un fumetto bonelliano di essere maggiormente esplicativo. La certezza di rimanere su un percorso autoriale viene comunque conferita dal compagno di Ratigher in questo percorso...



Assoli di chitarra


...Alessandro Baggi. Già ci sembra di sentire il pubblico rimanere a bocca aperta per alcune sue scelte compositive e rappresentative decisamente ardite. Baggi, notoriamente devoto al culto del "Re" Jack Kirby al quale tributa evidenti richiami, sembra "scaldarsi" nelle prime tavole con un andamento maggiormente convenzionale e anche con pose ed espressività non sempre del tutto riuscite. Proseguendo nella lettura è possibile notare però un'evoluzione sbalorditiva...
Già in Sciopero generale, storia contenuta nel Maxi Dylan Dog #23 del marzo scorso - da lui disegnata su testi di Giovanni Gualdoni -, avevamo ipotizzato un parallelismo tra la sua arte e una sorta di improvvisazione jazzistica. Con In fondo al male invece realizza alcuni passaggi forse ostici ma da vero fuori classe, quasi a costituire l’assolo di chitarra in cui Jimmy Page può dar sfogo alla propria abilità, in piena libertà compositiva.
Se volessimo analizzare aspetti tecnici, sarebbe impossibile non citare l'impressionante ed inquietante scansione del tempo da pag. 65 a pag. 69. Tante vignette descrivono situazioni diverse e contemporanee (quasi una versione dylaniata dell'Intanto altrove di ratigheriana memoria): in ogni tavola un orologio segna il tempo e in ogni pagina successiva ci sono tre vignette in più rispetto alla precedente (prima tre, poi sei, poi nove e infine dodici) in un crescendo di frammentarietà e di ritmo incalzante che viene spezzato in modo brusco e assordante da una splash page (pag. 69)! Solo poche pagine a seguire (precisamente a pag. 76) Baggi ci stupisce ancora con 
uno straordinario ritratto che possiede tutta la carica simbolica e metafumettistica del volto di Dylan che conosciamo e amiamo ma con un viso vuoto e sfigurato.



Outro


Il capitolo finale che inizia a pag. 70 si configura come un viaggio altamente metafisico verso le origini del male. Gli incontri che Fiona e Dylan fanno sul fondo del mare hanno un sapore metaforico notevole. Solo incidentalmente l'indagine viene chiusa, ma altro non è che uno degli elementi che caratterizzano il percorso di scoperta della malvagità umana. I disegni tornano a dominare il palcoscenico con la doppia splash page di pag. 92-93, che apre la scena e la amplia, dimostrando nuovamente le possibilità di improvvise accelerazioni di ritmo. Questo approccio strabordante culmina nelle ultime quattro tavole, prive del classico e rassicurante contorno bianco che usualmente caratterizza le pubblicazioni bonelliane. Una chiusura inaspettata e decisa, forse persino un po' brusca, ma che decisamente non riesce a intaccare la bellezza generale di uno dei migliori albi di Dylan Dog che ci è capitato di leggere negli ultimi anni.

Note di chiusura

Una storia che ti prende e difficilmente ti lascia andare anche ore dopo averla letta, destinata a richiamare continuamente la componente più irrazionale di ognuno di noi.
Ratigher è riuscito a trovare una propria modalità espressiva e mostrare un evidente feeling con il personaggio: questo va interpretato di per sé come un risultato doppiamente straordinario, visto che trattasi sia del suo esordio assoluto su Dylan Dog che del suo primo lavoro come sceneggiatore puro e non come autore completo. Il dampyriano Alessandro Baggi, pur con alcune imperfezioni, si è dimostrato giusto interprete delle peculiarità autoriali di Ratigher, assecondandolo nella sfida di riportare il caos nell'ordinata vita dell'Indagatore dell'incubo.
L'auspicio è che questo sia solo l'inizio.

Il sommo


P.S. Impossibile non congedarci con...




"In fondo al male"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 351
DATA: novembre 2015
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Ratigher

DISEGNI E CHINE: Alessandro Baggi
COPERTINA: Angelo Stano

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