Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi - Memorie dall'invisibile

“…Ma come può morire… chi non è mai stato… nessuno?”






A inizio agosto è stato pubblicato il quarto volume de Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Dopo Attraverso lo specchio, Golconda! e Johnny Freak, è arrivato il momento di rileggere un altro caposaldo della serie: Memorie dall’invisibile


In un incontro a Torino, qualche mese fa, abbiamo avuto la fortuna di poter fare due chiacchiere con Mauro Marcheselli, figura che più di ogni altra è stata vicina al Tiziano Sclavi scrittore e uomo. Bene, secondo l’ex curatore della testata non c’è storia: alla domanda su quale fosse l’episodio migliore del Dylan Dog di Sclavi ha risposto deciso "Memorie dall’invisibile, senza ombra di dubbio".
E se lo afferma lui, forse c’è da fidarsi, no?

Di questa storia, pubblicata originariamente nel 1988 come numero 19 della serie regolare, si è detto talmente tanto nel corso degli anni che sembra quantomeno improbabile poter aggiungere qualcosa di nuovo. La realizzazione di questo monumento della letteratura disegnata andrebbe insegnata e studiata nella scuola pubblica in quanto patrimonio culturale del nostro Paese. In questo senso più che utile, fondamentale, potrebbe rivelarsi il volume - contenente la sceneggiatura di Memorie dall’invisibile - pubblicato ormai quasi vent’anni fa dal Centro Fumetto Andrea Pazienza. Una lettura, o meglio, uno studio simile potrebbe rappresentare davvero un’esperienza irripetibile, un’epifania artistico-esistenziale di portata totalizzante, tale da segnare indelebilmente alcune menti sensibili al fascino della nona Arte.


Veniamo alla storia. Come sottolinea Roberto Recchioni nell’introduzione di questa ristampa, il famoso “quinto senso e mezzo” di Dylan qui viene più volte definito “sesto senso”, a indicare che ancora non tutti gli aspetti che sarebbero passati alla storia del personaggio erano stati codificati da Sclavi. Nonostante questa nota formale, l’essenza di Dylan Dog e della sua poetica risulta pienamente presente in Memorie dall’invisibile, quasi a farne l’emblema dei primi anni di storie dell’Indagatore dell’incubo.


Sclavi si fa cantore della contemporaneità, scavando nell’insopprimibile sensazione di invisibilità che attanaglia la nostra epoca (“...che sta succedendo al mondo? Sembra che siamo tutti invisibili gli uni per gli altri...”). Scritta in anni in cui i social erano ben lungi dall’essere anche solo ipotizzati, la storia ben si adatta a considerazioni strettamente sociologiche sulla contraddizione dell’essere costantemente circondati da persone, foto, pensieri altrui, eppure condannati a rimanere, ineluttabilmente, soli. Tale invisibilità sembra accomunare non solo il misterioso assassino con l’impermeabile, nonché l’Uomo Invisibile, voce narrante ed emblema di questo limbo esistenziale, ma praticamente tutti i personaggi delineati da Sclavi (Dylan, Groucho, Bloch, Bree: tutti, alla fine, restano soli con se stessi e il loro dolore).



Inutile cercare rimedio alla solitudine: Bloch ammette di ricercare conforto nelle prostitute (o “libere professioniste”, come direbbe Bree), elemento che sarà citato altre volte nel corso della serie, ma la morte andrà a bussare alla porta di una di queste donne. Dylan cerca a sua volta un rimedio alla solitudine cimentandosi addirittura in una proposta di matrimonio e la scarsa fattibilità dell’unione lo porta a far ricorso all’alcol, come in tutte le occasioni di struggente tristezza. Già, perché a rubare il suo cuore stavolta è stata Bree.

Bree Daniels si presenta all’inizio della storia citando la battuta d’esordio dello stesso Indagatore dell’incubo ne L’alba dei morti viventi (“Ciao, bello. Mi chiamo Daniels. Bree Daniels”), forse a rimarcare l’importanza che lo stesso Sclavi avrebbe conferito al personaggio. Tanto ci basta per cadere ai piedi di una donna davvero fuori dall’ordinario. È lei, l’incantevole donna di strada che assume Dylan per indagare sulla recente morte di alcune sue colleghe.

Dopo questa avventura, né per Dylan né per i lettori sarà possibile dimenticare questa figura femminile del tutto singolare. Donna di vita e di morte, di fatto e di pensiero, Bree incarna la quintessenza del femmimismo sclaviano: ancora bellissima, anche se non più giovanissima, questa prostituta è il vertice del triangolo equilatero del cuore dylaniato di Dylan, al cui centro troviamo di diritto Morgana, madre-amante inarrivabile e insostituibile, e alla cui base troviamo Marina Kimball e Lillie Connolly.
L’indimenticabile Bree, come poi tutte le altre, incarna il fallimento dell’amore e al tempo stesso la testimonianza concreta, la prova tangibile, dell’esistenza e dell’importanza dello stesso nella vita di Dylan. 
La ritroveremo nello stupendo Oltre la morte, con il suo peculiare modo di pronunciare il nome del nostro “Dailan”, accompagnata dal medesimo clima invernale (da cui la battuta sull’assenza di un look adeguato per l’Old Boy,  presente qui a p. 70 e ripresa in Oltre la morte), in un’atmosfera se vogliamo ancor più cupa e tragica.

Ritorna poi con prepotenza anche il tema della diversità, che già avevamo analizzato parlando di Johnny Freak. E proprio come in quel caso, tornano alla mente le parole del Fabrizio De André di Un giudice (ispirato all'Antologia di Spoon Riverall’Edgar Lee Masters), con la celebre frase sui nani e sulla statura di Dio (p. 89).
Sul fronte delle citazioni, il fantasma di Edward Hopper aleggia discreto per tutta la durata della storia (vedi ad es. il bar a p. 47 e 50).

p. 47.


 Nighthawks di Edward Hopper, 1942 (opera conservata all'Art Institute di Chicago)
Per questa edizione possiamo apprezzare un’altra cover splendida ad opera di Gigi Cavenago: in questo caso riprende in maniera più fedele l’originale di Claudio Villa, rievocandone l’atmosfera, lo scenario notturno con i lampioni e Dylan che insegue il killer con l’impermeabile, qui ritratto senza il minaccioso coltello. Oltre alla cover di Dylan Dog #19, Cavenago riprende alcuni elementi della copertina dell’edizione francese Glènat dell’albo, pubblicata successivamente e sempre ad opera di Claudio Villa, come la posa di Dylan e lo skyline londinese.

Copertina originale di Claudio Villa.

Illustrazione di Claudio Villa con colori originali
per la versione francese Bonelli Glenat di Memorie dall’invisibile (pubblicata qui).

Copertina di Gigi Cavenago per questa edizione.

Alle matite ritroviamo Giampiero Casertano che, dopo il suo esordio da manuale su Attraverso lo specchio, si reinventa e si supera riuscendo nel miracolo di dare corpo al racconto di Sclavi nel più perfetto dei modi possibili. Casertano si dimostra un autore in grado di confere quel soffio di umanità e di tragicità ai suoi personaggi che rendono immortali le sue tavole, qui impreziosite da una colorazione retrò che ancora una volta ci sorprende per la resa e non ci fa rimpiangere troppo la profondità del bianco e nero.
Il sodalizio artistico tra i due non si è fortunatamente esaurito qui, ma ha continuato a regalarci emozioni uniche. Sì, uniche. Perché come sono uniche le soluzioni narrative e liriche di Sclavi, altrettanto si deve dire per quelle grafiche di Casertano.
E lo stesso discorso vale per altri capolavori immortali come il grottesco Dopo Mezzanotte, il drammatico Totentanz, l’angosciante La casa degli uomini perduti, fino al terribilmente doloroso Dopo un lungo silenzio. Tutte storie che servono a testimoniare il lascito artistico e umano di questa coppia inimitabile del fumetto mondiale, opere che non smetteremmo mai di leggere e rileggere.

RolandoVeloci & Giuseppe Lamola


"Memorie dall'invisibile"
SERIE: Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi #4
DATA: agosto 2017
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Tiziano Sclavi
DISEGNI E CHINE: Giampiero Casertano
COLORI: GFB Comics e Luca Bertelè
COPERTINA: Gigi Cavenago









Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore.

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