Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi - Attraverso lo specchio

Riscoprire un capolavoro del fumetto italiano



Circa due mesi e mezzo fa è stato annunciato che gli episodi di Dylan Dog scritti da Tiziano Sclavi sarebbero stati ristampati in una nuova veste a colori e in molti hanno pensato semplicemente all'ennesima riproposizione delle storie dell'Indagatore dell'incubo in forma di "best of". Avere tra le mani un oggetto cartaceo come Attraverso lo specchioin questa edizione fortemente voluta e curata da Roberto Recchioni, rappresenta invece qualcosa di differente: formato leggermente più grande rispetto a quello caratteristico bonelliano, nuovi redazionali, copertina rigida cartonata ruvida e prezzo contenuto. La cover inedita realizzata da Gigi Cavenago è drammaticamente stupenda e riuscita nell'astrarre i due personaggi chiave della vicenda, ovvero Dylan Dog e la Morte, in una danza macabra fuori dal tempo e dallo spazio. Ultima ma non ultima, una colorazione inconsueta, retro e particolarmente azzeccata.
A conti fatti un modo serio, ragionato e del tutto soddisfacente per mettere in luce una tappa fondamentale per il fumetto italiano. Perché quelle pagine, opportunamente ingiallite, trasudano storia: non solo storia del fumetto, ma anche storia di uomini comuni, parte di quella commedia umana di cui Tiziano Sclavi ha dimostrato, innumerevoli volte, di riuscire ad essere interprete profondo e inimitabile.

L'illustrazione di Claudio Villa, con colorazione originale,
per la copertina di Attraverso lo specchio (Dylan Dog #10), pubblicata qui.
Siamo nel luglio 1987. Dopo l'indimenticabile numero uno e tanti albi "di rodaggio" ma già decisamente maturi e, non a caso, ben impressi nella memoria dei fan, con Attraverso lo specchio Tiziano Sclavi dava pienamente sfogo al suo estro. Insieme al disegnatore milanese Giampiero Casertano dava origine a un connubio artistico formidabile e insuperabile, responsabile di storie che nel corso degli anni, da  Memorie dall'invisibile a Dopo un lungo silenzio, hanno saputo rappresentare la fragilità umana, l'insensatezza della vita e gli sciagurati giochi del destino: sono proprio questi ultimi, in Attraverso lo specchio, a trovare incredibile compimento.

Sono passati ben trent'anni ma le cose non possono essere cambiate e quello che si svolge davanti ai nostri occhi è sempre un rondò capricciosissimo, una totentanz che non risparmia nessuno dei tanti protagonisti-non-protagonisti di questa messa in scena che è la vita secondo Sclavi.
È proprio con una festa in maschera che si apre - dopo un'inquietante sequenza che vede la futura protagonista femminile rapportarsi con uno specchio, sul modello della malefica matrigna di Biancaneve - Attraverso lo specchio.

Gli attori non protagonisti si muovono come quelli sulle pagine del romanzo breve Doppio sogno di Arthur Schnitzler o quelli del racconto La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe: è il Carnevale della solitudine, il trionfo della chiacchiera e del "si dice". Tra i tanti invitati, si aggirano per l'enorme salone anche un grosso coniglio rosa (un Groucho che da una parte ricorda il Bianconiglio di Lewis Carroll e dall'altra anticipa l'assassino de I conigli rosa uccidono) e un irrequieto Don Giovanni mascherato (un Dylan, ancora non noto agorafobico, decisamente a disagio).



Tutti sembrano divertirsi ma, in realtà, tutti sono a disagio, volutamente grotteschi, come in attesa di un evento incombente che, infatti, non tarda ad arrivare...
Un agghiacciante urlo e compare Lei... la Morte!
Se la fedifraga e troppo umana memoria non ci tradisce, questa a pagina 20 è la primissima apparizione della Morte come personaggio nella serie.
Scende le scale con fare solenne, con la sua mano scheletrica sfiora - segnandone l'imminente sorte - alcuni presenti e, infine, invita a ballare l'unico uomo che sembra essere lì senza un vero motivo: il tutto si svolge in una lunghissima e irreale sequenza priva di dialoghi - dominata dai versi in rima di Sclavi - interrotta poi solo dal fatto che la Morte pronuncia il nome "Dylan".



p. 23

p. 24

Il ballerino scelto dalla Morte - definito, con cruda spietatezza e amara ironia, "un uomo da niente" - ha visibilmente i tratti di Sclavi. I versi, che scandiscono la ballata di morte che fa muovere i due, sono figli di quelli del maestro François Villon e dei suoi allievi Brassens e De André, mentre su tutto aleggia lo spettro del poeta Cesare Pavese (anche se i riferimenti alla sua Verrà la morte e avrà i tuoi occhi troveranno una più riuscita riformulazione in un altro capolavoro dylaniato, a firma Chiaverotti e Roi, Partita con la morte, recensito audacemente qui).

Se possiamo osservare Dylan muoversi impacciato in abiti da Casanova dei poverelli in una festa del genere è perché è stato invitato da una sua ex, Rowena, per indagare su uno specchio che a suo dire è stregato.
Abbiamo già fatto riferimento a Poe ma dobbiamo - passateci la battuta - tirarlo nuovamente in ballo perché Rowena è anche il nome della protagonista di un altro suo inquietante racconto, Ligeia. E questo non è il solo parallelo con quest'ultima composizione dello scrittore di Boston. In questo racconto sul doppio, Rowena, donna vitale e positiva, era "posseduta" dalla Ligeia del titolo, donna morta e maligna: proprio quello che si scopre nelle ultime pagine di Attraverso lo specchio.

Ma se la visita nel laboratorio poetico di Sclavi fin qui effettuata non vi soddisfa, possiamo stuzzicarvi ancora con altre ipotesi fonosuggestive: il nome Rowena assomiglia sia a "ruin", "rovina" in italiano (e un altro racconto di Poe, The Fall of the House of Usher è stato tradotto in italiano La caduta o, appunto, La rovina della Casa degli Usher), che a "Raven", in italiano "corvo", che è il titolo della composizione poetica più famosa del nostro amato e venerato Edgard; se a questo aggiungiamo che la donna in questione è scura di capelli (definirli "corvini" non è affatto una forzatura) abbiamo un quadro decisamente più completo di quali siano i riferimenti poeiani di Sclavi.
Detto questo, non staremo a dirvi che il suo cognome, Fairie, è terribilmente simile a "fairy", “fata” in italiano (ops! Ve l'abbiamo detto...).

Avevamo accennato allo specchio stregato di Rowena. Dylan, in questo primissimo anno di vita editoriale ben più scettico di come diventerà in futuro, inizia a indagare partendo dal negozio in cui è stato comprato lo specchio, da “Bentler & son”, su Bond Street (chi ha detto 007?!).



Si arriva, così, al secondo capitolo (a proposito: quanto erano straordinariamente belli e poetici i titoli dei capitoli delle storie dylaniate nei vecchi albi Bonelli, che purtroppo in questa nuova edizione si perdono?) della storia, Il sogno del re rosso.

Per chi scrive, da quando Dylan mette piede in questo negozio - definito dal suo eccentrico proprietario "Il Regno degli Specchi" -, da quel memorabile accendersi di luci che abbagliano il nostro, inizia a vivere il Dylan che poi tutti hanno imparato a conoscere e ad amare: quello che intraprende al nostro posto il viaggio nel buio baratro senza fine dell'incubo che ognuno di noi ha dentro di sé.
È un momento a dir poco epocale, una svolta storica, uno spartiacque irripetibile e, infatti, Sclavi ricorre alla non-lingua per descriverlo:

     OGERP, IVETADOMOCCA. OTRECAM!

                                    ECUL!

  IHCCEPS ILGED ONGER LEN OTUNEVNEB!



Per fare la sua rivoluzione, più che artistico-letteraria, comunicativa, Sclavi decide di salire sulle spalle dei giganti, e quelli che decide di scomodare in questa sequenza da antologia sono Magritte e, soprattutto, Carroll.

Di René Magritte, ovvero il suo artista preferito, Sclavi fa riprendere a Casertano ben due opere: Il tempo trafitto (del 1938) e La riproduzione vietata (del 1937). Questi due significativi riferimenti non solo dilatano all'infinito la parete sul muro della quotidianità, ma squarciano il velo del nostro modo di intendere il reale e l'irreale.
Davanti a La riproduzione vietata vediamo Dylan e il proprietario del negozio disposti proprio specularmente alle sagome del dipinto di Magritte (dipinto nel quale, vogliamo ricordarlo, si riflette un libro, che, guarda caso, è l'unico romanzo - per di più senza un vero e proprio finale - di Poe, Gordon Pym).



La riproduzione vietata di René Magritte (1937).

Il tempo trafitto, invece, è presente non come quadro ma come arredamento fisico del negozio. Si vede una locomotiva sbucare da un camino e sul camino, appeso, uno specchio dal quale si accede, e arriviamo a Carroll, al regno del Re Rosso del titolo citato in precedenza.


Il tempo trafitto di René Magritte (1938).

Il riferimento a Carroll - non privo di risvolti musicali se si pensa al Re Cremisi, i King Crimson, pionieri del rock progressivo - va ben oltre il Re Rosso e comprende proprio un'intera sua opera, il seguito di Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, quel Through the looking glass che ha reso celebre Charles Lutwidge Dodgson (vero nome di Carroll) come l'ideatore del Jabberwocky, una poesia protononsense, da leggersi leonardescamente riflessa, per l'appunto, nello specchio.

Le tante vite troncate di questa storia, tutte presenti alla festa di Rowena, hanno in comune il fatto che le vittime, prima di morire, hanno visto il loro riflesso e che vanno dall'altra parte, nel regno delle ombre, consolati dai versi neri della poesia di Sclavi, mantra mortifero che ritorna...

Lo specchio è da sempre considerato un oggetto magico e inquietante: è una porta che apre varchi tra il nostro mondo e quello del doppio, dell'altro, di ciò che potrebbe essere, di ciò avrebbe potuto essere e non è stato, ma è anche una possibile prigione per l'anima (perché quando muore qualcuno, ancora oggi, si coprono gli specchi presenti in casa?) e, al tempo stesso, è l'unica fonte di verità, l'unica voce che ci racconta il trascorrere inarrestabile del tempo e tutto ciò che questo comporta.

In questo episodio non sono soltanto gli specchi al centro dell'attenzione, ma anche una pozzanghera o una vasca piena d'acqua: insomma, qualsiasi superficie in grado di riflettere un riflesso di morte che, da Narciso in poi, viene scelto come strumento per dispensare la morte.

Questa spaventosa vignetta anticipa di qualche mese l'uscita di un seminale EP dei trashers tedeschi Kreator: che Sclavi avesse, oltre a un immenso talento narrativo, anche doti divinatorie?!


Sclavi - in questa storia Andrew P. Delberts - prima di morire fa riferimento alla sua familiarità con l'alcool ("Forse ho solo bevuto troppo") e al suo essere stato un bambino violento e prevaricatore che ora raccoglie quello che ha seminato e affronta il contrappasso che si è meritato.

Ma né lo specchio, né il riflesso che crea, né Dylan, né Sclavi sono i protagonisti di questo episodio... È la Morte la vera protagonista, non solo di questa storia, ma dell'intera serie.
La Morte - ce lo conferma Casertano nell'intervista in appendice - quando è raffigurata come uno scheletro è per volere di Sclavi, invece, quando apparirà con i tratti umani e dalla recitazione barocca e teatrale, sul modello della rappresentazione bergmaniana, sarà per una precisa scelta del disegnatore milanese.
Che sia in carne e ossa o solo in ossa il suo compito non cambia: viene a falciare le vite di coloro che hanno finito il loro tempo su questa terra, di quelli che devono affrontare lo specchio e ciò che si cela dietro di esso.



Dopo che si è consumato il sacrificio di Rowena, agnello posto sull'altare dylaniato, la promessa (velata minaccia?) di tornare fatta dalla Morte a Dylan, proprio sul finale, è un vero colpo da maestro di Sclavi: tutte le nemesi non vengono mai sconfitte definitivamente, ma ritornano sempre per nuove sfide. Sclavi questo lo sa benissimo e infatti sceglie per il suo antieroe un avversario, appunto, imbattibile, che non può essere ucciso... la Morte stessa!
A Dylan e a chi legge il compito di considerare la finitezza e la fragilità del nostro vivere nell'impossibilità di competere con un avversario totalmente fuori dalla portata umana, che ci usa come pedine per il suo gioco, un gioco di cui noi non soltanto non capiremo mai le regole ma al quale non saremo mai invitati a giocare: nel tragico gioco degli splendori e delle miserie della nostra esistenza siamo stati, siamo e saremo sempre - soltanto - spettatori inermi.

Giampiero Casertano, tra i tantissimi artisti che hanno dato il loro contributo a Dylan Dog, è forse quello maggiormente in grado di esprimere il lato umano ed emotivo delle storie. Qui è all'esordio assoluto ma i suoi volti sono già eloquenti e le espressività quasi teatrali, vissute, vive. "Una volta, un amico mi disse che le mie storie si capirebbero anche senza i balloon", afferma Casertano nella bella chiacchierata/intervista con Marco Nucci pubblicata in appendice, e non si può non concordare. Il nero nei suoi disegni "ha un'importanza preponderante, intaglia le forme e bilancia la tavola", viene riportato sempre nel pezzo. Eppure, nonostante la storia fosse stata pensata e sempre letta finora nello splendido bianco e nero (classico delle pubblicazioni bonelliane e solo di recente alternato in maniera sempre più frequente a collane interamente a colori), ci sentiamo di poter affermare che la colorazione realizzata dal GFB Studio e da Luca Bertelè per questa edizione aggiungono qualcosa di inedito. Un dettaglio tipografico molto riuscito della colorazione è la scelta di rendere il rosso (della camicia di Dylan ma anche delle onomatopee) con una tinteggiatura uniforme, a differenza degli altri colori, che hanno uno splendido connotato retro.

Come accennato in apertura, questo volume è uno dei modi migliori per (iniziare a) rileggere gli indimenticabili episodi di Dylan Dog scritti da Tiziano Sclavi, parte integrante del patrimonio culturale italiano del Novecento.

RolandoVeloci & Giuseppe Lamola




"Attraverso lo specchio"
SERIE: Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi (Dylan Dog Book 251)
DATA: maggio 2017
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Tiziano Sclavi
DISEGNI E CHINE: Giampiero Casertano

COLORI: GFB Studio e Luca Bertelè
COPERTINA: Gigi Cavenago








Per le immagini: © 2017 Sergio Bonelli Editore.



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