DYLAN DOG #356

Storia di un impiegato









"La domanda fondamentale è infatti: qual è lo scopo della vita? Diventare più umani o produrre di più?"
da "Il coraggio di essere" di Erich Fromm


Per addentrarsi nei temi affrontati da La macchina umana, magnifico albo di Dylan Dog di Alessandro Bilotta e Fabrizio De Tommaso, basta dare uno sguardo alla copertina in cui Angelo Stano riporta con straordinario impatto visivo gli orrori che possono affliggere la nostra quotidianità. Lo sfondo è bianco e tutto viene reso in toni di grigio, eccetto la rossissima camicia di un Indagatore dell'incubo che si aggira in un ufficio pieno di mostri. Questi mostri possiamo chiamarli tranquillamente per nome: lo sfruttamento, la produttività, l'alienazione. 


In questo episodio l'Indagatore dell'incubo vive sulla propria pelle il disagio e l'ossessività di un lavoratore alienato e schiacciato dal peso di ingranaggi ben più grandi di lui. Poco importa come sia finito a lavorare per una multinazionale dalla dubbia moralità di fondo. Andando avanti nel tempo la sua vita extra lavorativa si assottiglia progressivamente, fino a scomparire. Esiste solo il lavoro, con i suoi orari, le sue regole, le sue schiavitù. Un percorso talmente coinvolgente e comune da farne un orrore tangibile, contemporaneo, attualissimo. Dylan prova ad opporvisi, incontrando il sostegno della bella Kalyn, di cui irrimediabilmente si innamora.


"E qualcuno pensa ancora che la vita d'ufficio sia meno stressante di quella da investigatore privato."
Sappiamo bene che Alessandro Bilotta non è il primo ad affrontare queste tematiche. L'autore riprende infatti vari spunti: a quelli già indicati nell'introduzione di Roberto Recchioni (classici indimenticabili come Il processo di Franz Kafka e Brazil di Terry Gilliam) si aggiungono varie citazioni di testi di sociologia e filosofia del lavoro, come quelli di Erich Fromm. Nel medesimo ambito c'è poi un precedente importante (e ingombrante) nel fumetto seriale nostrano che va quanto meno menzionato: Sciopero di Ken Parker, ossia l'albo in cui Giancarlo Berardi Ivo Milazzo rappresentarono le lotte della classe operaia dell’Ottocento.
Inoltre in alcune scelte compiute nel finale della storia, nonché in qualche dialogo ("Pensi che loro ci abbiano cambiato?"), sembra quasi riecheggiare la voce di Fabrizio De André, nei versi ("Sono riusciti a cambiarci/ ci son riusciti, lo sai") dell'unica canzone d'amore in un album particolarmente impegnato e significativo. La canzone è Verranno a chiederti del nostro amore e l'album Storia di un impiegato (1973).



Tutto questo non ci confonda: il terrificante incubo messo in scena è inedito e peculiare. E in un passaggio chiave della vicenda, ci viene sottolineato che non è sufficiente, stavolta, sconfiggere una fantomatica entità sovrannaturale per cavarsela: i problemi affrontati da Dylan sono di una natura molto più profonda e realistica.
Nella sua essenza di fondo, l'albo rispecchia la visione di Bilotta dell'inquilino di Craven Road, un pensiero molto vivido e decisamente in linea sia con il suo approccio intimista che con alcune caratteristiche salienti del personaggio.
"Anche se calato in storie fantastiche o surreali, il Dylan Dog di Tiziano Sclavi riusciva a scattare una fotografia estremamente realistica del mondo. Io credo che noi stiamo cercando di ritrovare quella capacità. Questo non significherà cambiare il personaggio, ma recuperare questi straordinari elementi che contiene al suo interno." Questo dichiarava Bilotta all'alba del rinnovamento editoriale di Dylan Dog. Da allora lo sceneggiatore romano si era occupato dello Speciale autunnale, La casa delle memorie, in cui ha potuto riprendere le trame del distopico Pianeta dei morti, mentre era assente dalla serie regolare da oltre tre anni (e più precisamente dall'albo L'impostore, Dyd #317 del febbraio 2013). A differenza di alcune sue prove precedenti, in cui le sue enormi abilità di scrittore erano messe al servizio della storia, in questo caso Bilotta dimostra di essere talmente a proprio agio da riuscire ad imprimere il proprio stile con una forza del tutto inedita. I dialoghi filosofici di Groucho, trovate come il falso finale nel bel mezzo dell'albo o l'ultima tavola (cui non faremo cenno ma che merita davvero un plauso) scaturiscono da una penna ispirata e potente, in grado di confezionare 94 pagine da antologia.


Se Bilotta per noi è tutt'altro che una rivelazione, anche il talento puro di Fabrizio De Tommaso non è certo una novità. Sebbene al suo esordio tra i tessitori di incubi di Craven Road, De Tommaso ci ha abituato ad apprezzare la sua matita sulle copertine di Morgan Lost, dove in pochi albi è stato in grado di farsi notare per freschezza e qualità assoluta (meritandosi, è giusto ricordarlo, il premio come miglior copertinista agli ultimi Audaci Awards). Terzo esordio su Dylan Dog in quattro mesi (dopo Luca Casalanguida ed Emiliano Tanzillo) le tavole di De Tommaso costituiscono un vero e proprio valore aggiunto della storia, con un tratto che si esalta soprattutto nei primi piani, raggiungendo livelli di eccellenza in alcune sequenze come le scene al buio (gran parte della sequenza che va da pag. 40 a pag. 46) e le due tavole con mezzetinte acquerellate (pag. 81 e 82). Il suo è un nome di cui sentiremo parlare spesso, e verosimilmente in termini molto positivi.

Una storia angosciante, pienamente inserita nello spirito del nostro tempo e in grado di rispolverare sapientemente le caratteristiche migliori dell'Indagatore dell'incubo. In sostanza, una storia che ricorderemo a lungo. 

Il sommo audace


Illustrazione di Fabrizio De Tommaso.




"La macchina umana"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 356
DATA: aprile 2016
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Alessandro Bilotta
DISEGNI E CHINE: Fabrizio De Tommaso
COPERTINA: Angelo Stano


Post più popolari