Anteprima DYLAN DOG #348

Le due anime dell’orrore



Nero e bianco. Notte e giorno. Morte e vita.
Come nei concetti chiave delle filosofie orientali, elementi manichei e contrapposti si incrociano nel numero di Dylan Dog di fine agosto. E non (o perlomeno non solo) perché l'episodio parla di Anita Novak e Rita Leigh, due pittrici dalle caratteristiche antitetiche in grado di dipingere, rispettivamente, la morte e la rinascita. Piuttosto perché nello stesso albo sembrano convivere due anime differenti, legate allo stile e all’indole dei due autori, Barbara Baraldi e Nicola Mari. Responsabili di testi e disegni, l’una mette in luce le debolezze dell’altro, eppure non riuscirebbe a esistere senza il suo opposto. Due elementi imprescindibili in ogni opera della nona arte.
Elementi talvolta opposti ma che, indissolubilmente, si attraggono.



Il buio
La mano sbagliata rappresenta il debutto sulla serie regolare di Barbara Baraldi, dopo la storia breve Il bottone di madreperla del 2012 (Dylan Dog Color Fest #9). Tra i pregi della nuova fase editoriale di Dylan Dog è infatti da annoverare la ricerca di input originali mediante l'esordio di nuove penne. Il precedente ingresso nel cast degli sceneggiatori è stato quello del brillante Gigi Simeoni, sin da subito a suo agio nella cabina di regia di Craven Road, che si è fatto valere soprattutto nella splendida Nel fumo della battaglia, uno degli albi più riusciti di quest'ultima annata.

Barbara Baraldi, nota per i suoi romanzi editi da Mondadori e Einaudi, non è comunque nuova al mondo delle nuvole parlanti, avendo all’attivo, oltre alla già citata storia breve di Dylan Dog, sceneggiature per Real Life e Diabolik. Il Dylan da lei messo in scena in quest’albo è un eroe hard-boiled, romantico e irreversibilmente attratto dall’universo femminile. Sono le donne a dominare la scena: sul proprio sito l’autrice ha dichiarato che “il titolo di lavorazione dell’albo era Le mani di una morta, tributo alla più grande autrice del gotico letterario italiano, quella Carolina Invernizio” che “a inizio Novecento pubblicava romanzi spaventosi e crepuscolari prestando grande attenzione ai personaggi femminili”. Due sono le figure femminili principali della storia: da un lato l’artista Anita Novak, che dopo un tragico e misterioso incidente riesce a dipingere solo orrende scene di morte che si rivelano in realtà vere e proprie scene del delitto, dall’altro la sua antitesi, Rita Leigh, dal cui pennello  emerge la vita e la rinascita… La depressione e l’oscurità che si celano dietro Anita sono tra gli elementi che rimangono più impressi della storia, i suoi occhi spalancati e a volte assenti, le ombre che pervadono i suoi lineamenti.

La prima vignetta della storia indica un orario che i fan dei film di fantascienza riconosceranno senz'altro!

Interessante risalire poi alle tante suggestioni che permeano la storia, soprattutto musicali e cinematografiche. Oltre al testo di due canzoni decisamente oscure (la dolentissima Hurt dei Nine Inch Nails e She’s lost control dei Joy Division), la Baraldi dissemina tutto l'albo di citazioni più o meno esplicite, a partire dalla prima vignetta che riporta un dettaglio di un’imprescindibile trilogia di lungometraggi con Michael J. Fox. L’autrice stessa poi ha affermato che “come molti di voi hanno già notato, Anita deve il suo cognome all’attrice protagonista de La donna che visse due volte del maestro del brivido Alfred Hitchcock”. È indubbio l’amore viscerale della Baraldi verso alcuni film d’epoca: le atmosfere hitchcockiane fanno da sfondo all’intero albo e risultano riconoscibili e apprezzabili. Eppure, nonostante ciò, alcuni elementi ci fanno pensare che l’autrice costituisca l’anima buia della storia. I personaggi in molte scene sono animati da notevole teatralità, che sembra quasi renderli attori su un palcoscenico. Per quanto questo possa generare un effetto voluto, a volte si fatica ad entrare in sintonia con i personaggi, rompendo in parte il gioco di immedesimazione che avrebbe reso l’episodio più interessante. Inoltre, il ritmo della narrazione appare in alcuni punti sincopato e a singhiozzo, rendendo quasi faticoso ricostruire nella propria immaginazione la progressione temporale tra una scena e la successiva. Anche la volontà di spiegare tutto alla fine dell’albo sembra scaturire dalla necessità di mantenere un cordone di contatto con l’ambito realistico che invece spesso in Dylan Dog non è indispensabile.
Dipendesse solo dalla sceneggiatura, le tenebre avvolgerebbero tutto senza via d’uscita.
Invece…


La luce

L’altra anima della storia è quella in grado di renderla lucente. Stiamo parlando dell’elemento senza il quale la sceneggiatura non avrebbe modo di prendere forma, i disegni di Nicola Mari. Il grande talento del disegnatore ferrarese emerge in un lavoro magistrale, denso, profondo. Dopo i fasti in technicolor di Spazio profondo, era quasi un’urgenza per i suoi estimatori ritrovare il suo angosciante bianco e nero. Ancora una volta le sue tavole sembrano condurlo verso nuove espressioni stilistiche: artista mai stanco, in perenne fluire verso luoghi poco battuti, declina il gotico in maniera inedita, sempre alla ricerca di nuove soluzioni. Il suo lavoro favorisce e completa la narrazione: basti osservare come riesce a rendere una scena teoricamente statica come il dialogo tra Dylan e la pittrice (nelle vignette ambientate nel presente tra pag. 22 e pag. 37), tra continui cambi di inquadrature e focus su alcuni particolari. Per definire il volto di Anita, la Baraldi ha affermato di aver chiesto a Mari di ispirarsi a Veronica Lake, definita “la persona più bella mai arrivata a Hollywood”. E il fascino della pittrice è indiscutibile: il fascino dell’abisso… Perdoneremo a Mari persino la vignetta centrale di pagina 76, in cui Rita sembra avere una gamba troppo più lunga rispetto all’altra (perché Mari è ormai al livello di potersi concedere qualsiasi licenza poetica).

Inside joke: l’autore ferrarese ritrae se stesso nell’ultima vignetta di pag. 64 e definisce “splendido” un quadro intriso di morte.

Detto ciò, ecco dove collocheremmo il bianco e dove il nero. Cosa incontra l’entusiasmo audace e cosa meno. Il bello è che, stando alle recenti dichiarazioni, la prossima prova di Barbara Baraldi sarà ancora in coppia con Nicola Mari e ci mostrerà un “Dylan giovanissimo membro di una goth band”. Non ci resta che augurarci che i due autori riescano a trovare una sua dimensione maggiormente equilibrata e calzante per l’Indagatore dell’incubo, che le due anime dell’orrore si fondano a generare un incubo davvero mortale.

Giuseppe Lamola
 

"La mano sbagliata"
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 348
DATA: agosto 2015
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Barbara Baraldi
DISEGNI E CHINE: Nicola Mari
COPERTINA: Angelo Stano

 

 

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