DYLAN DOG #342 - Recensione

Gli abissi del cuore di Dylan secondo Recchioni e Dall'Agnol


Lo diciamo subito? Il nuovo albo di Dylan Dog è un altro capolavoro.
Ormai è chiaro: quando le redini sono tutte nelle mani di Roberto Recchioni la riuscita è a portata di pagina. Ma la cosa che davvero bisogna sottolineare è il fatto che RRobe sia finalmente riuscito a fornire i giusti stimoli a Piero Dall’Agnol, il quale è ritornato a emozionarsi e a emozionarci come ai vecchi tempi, dopo una serie di prestazioni francamente non proprio memorabili.

[Attenzione: quanto segue potrebbe inevitabilmente contenere SPOILER!]


Dylan e le donne: è questo il tema de Il cuore degli uomini? Dopo averla letta e riletta non ne siamo ancora del tutto convinti. Che sia piuttosto l’impossibilità strutturale – non di innamorarsi – di avere storie durature insita nel personaggio Dylan a essere al centro della scena? Che Recchioni abbia in mente di sconvolgere questo topos letterario quasi trentennale? Può darsi: la rivoluzione è iniziata, è lecito aspettarsi di tutto. E poi, non ce ne vogliano tutti i fan delle varie donne di Dylan: infondo lo sappiamo tutti che l’unico, vero, grande amore di Dylan è stato, è e sarà Morgana, archetipo di madre/amante per antonomasia e imbattibile sotto tutti i punti di vista (Freud dixit).
Questa volta le cose però non sono facili come in passato. È febbraio. A Londra fa freddo e nevica ma a metà mese ci pensa la festa di San Valentino a scaldare i cuori di tutti gli innamorati. Ma proprio per carnevale (simboleggiato dal Darth Vader che campeggia nella primissima pagina: a ricordarci che dietro la maschera può esserci chiunque, anche il nostro creatore!) Dylan decide di gettare via la maschera da Valentino e lascia la sua bella di turno, Dora. Quante donne ha lasciato Dylan nel corso della sua vita e, soprattutto, quante volte è stato lasciato a sua volta? Difficile a dirsi. Sta di fatto che questa volta le cose andranno un po’ diversamente dal solito, perché nella storia si intromette Norman Caldwell, il padre della ragazza lasciata. L’uomo rapisce l’Indagatore dell’incubo e gli riserva un trattamento particolare e in cambio delle sue amorevoli cure vuole soltanto una cosa: che il nostro sciupafemmine preferito confessi che il suo non era vero amore.
Cosa più facile a farsi che a dirsi, in questo caso: perché Dylan, da testardo qual è, si rifiuta di ammettere ciò che secondo il suo pensiero è una totale falsità (e cioè che nel cuore dell’uomo non c’è posto per l’amore ma solo per la crudeltà che lo rende una bestia feroce e selvaggia).


Recchioni ha studiato tanto (e a fondo!) gli albi firmati da Sclavi e ormai ha imparato davvero tutto ciò che serve per confezionare una storia perfetta. L’alternanza tra realtà e sogno è una costante di questo racconto morboso che così risulta bipartito, sospeso tra la dolorosa e incomprensibile realtà e una reverie che alterna momenti dolci ad altri ansiogeni, fino ad arrivare ad altri decisamente splatter con tanto di antropofagia (un personalissimo Pasto nudo di sclaviana memoria) tali da ricordare – e non poteva essere altrimenti – le primissime tavole de L’alba dei morti viventi, il Dylan Dog numero uno, nelle quali Sybil (la prima donna/cliente amata da Dylan, la quale porta con sé uno di quegli speaking name dall’eredità mitologica e psicoanalitica davvero pesante) cerca di scappare da suo marito.
Splendide le tavole di Dall’Agnol dedicate al sogno d’amore e morte di Dylan; ma trattasi davvero di sogno? Il finale spiazzante suggerirebbe il contrario e allora in quel caso Dylan sarebbe stato davvero scorretto nei confronti di Dora (e – infatti – egli, nel finale, ammette alla ragazza le sue colpe, ma non proprio tutte). 
Un altro aspetto che funziona alla grande è vedere come le così tanto temute innovazioni recchioniane si incastrino alla perfezione, con naturalezza, nel nuovo ciclo narrativo conferendo all’operazione “Rinnovazione”, voluta fortemente dallo scrittore romano, l’aura del trionfo. È di trionfo si deve parlare se ci emozioniamo quando è Irma (lo smartphone regalato da John Ghost a Dylan nello scorso numero, Al servizio del caos) a parlare e a interagire con il tristissimo e inconsolabile Groucho (non una battuta per tutto il tempo che Dylan è scomparso: degno del Groucho de Il lungo addio!). L'assistente dell'Indagatore dell'incubo afferma, senza batter ciglio – e non potrebbe essere altrimenti –, di amare Dylan Dog. E sempre di trionfo si tratta quando osserviamo il nostro baffone intento ad aspettare per ore fuori dalla porta dell’ispettore Carpenter – mentre quest’ultimo confabula con la bella Rania – nella speranza di essere ricevuto per poter denunciare la scomparsa del suo capo.
E ancora, lo dicevamo all’inizio della recensione, è verosimilmente un merito tutto di Recchioni se possiamo nuovamente godere dello sconfinato talento di un ritrovato e ispiratissimo Dall’Agnol (questa forse è la notizia più bella di tutte!).
Scriviamo questo convinti che chi fa Dylan Dog non fa fumetti, fa la storia. Quindi è giusto ricordare la parabola artistica di Pietro Dall’Agnol. Bellunese, classe ’63, autodidatta, è un artista dallo stile assolutamente unico nel panorama fumettistico non solo italiano ma mondiale. Il suo stile, infatti, è riconoscibilissimo e personalissimo, tanto da andare oltre l’unicità fino a rappresentare quasi una bizzarria post cubista, e giungere – a volte – a sfiorare l’incompiuto (e non il minimalismo formale).


Presente fin dal terzo anno, a oggi l’artista veneto ha realizzato dodici storie sulla serie regolare e una per il terzo Dylan Dog Gigante. Non possiamo fare a meno di ricordarvi che le sue opere più riuscite sono legate tutte allo stesso immenso e immortale nome, quello di Claudio ChiaverottiCome non citare il loro comune esordio, Il buio (n. 34, del luglio 1989) e, ancora, l’incredibile manifesto contro la vivisezione, quel Goblin (n. 45, 1990) che andrebbe portato (e chi scrive, infatti, lo fa!) nelle scuole; e ancora il terrificante e umanissimo La mummia (n. 55, 1991) o il metafumettistico Caccia alle streghe (per i testi del geniale Sclavi, n. 69, 1992); e sempre per i testi del divo Claudio realizza Lontano dalla luce (altro capolavoro assoluto, n. 82, 1993), l’inquietante Lo sguardo di Satana (n. 98, 1994), il glorioso protobrendoniano Falce di luna (1994, dal terzo Gigante) e il sognante e bergmaniano Il confine (n. 122, 1996).
Poi, purtroppo, seguono una serie di prestazioni meno convincenti: L’uomo nero (n. 186, 2002; per i testi di Mignacco), L’uccisore di streghe (n. 213, 2004; per i testi di Ruju), e il davvero non esaltante Tutti gli amori di Sally (n 247, 2007; ancora per i testi del prolifico Pasquale). La sua ultima prova era stata Sulla pelle (n. 326, 2013; per i testi di Bruno Enna), albo che non solo non ci aveva esaltato, ma ci aveva impressionato in modo – ci dispiace dirlo, ma noi Audaci siamo sempre onesti, ci conoscete! – estremamente negativo.

Le sue tavole per questo n. 342 sono degne di essere ammirate e riammirate lungamente, specialmente quelle – lo ribadiamo – legate al viaggio negli abissi del cuore di Dylan. Definire o classificare un tratto del genere è cosa dura (noi ci abbiamo provato sopra) ma di una cosa siamo certi: la bellezza sconvolgente dei visi di Mary (ops!) e di Dylan a pagina 97 vale da sola il prezzo dell’albo.

Concludiamo ribadendo quanto espresso finora. Recchioni ha realizzato un altro gioiello. Una favola d'amore e morte al tempo degli smartphone, capace di regalarci un’altalena di emozioni che vanno dal pulp al romanticismo, dallo splatter allo psicologico.

RRobe, dopo Mater Morbi, Spazio Profondo e Al servizio del caos vince per la quarta volta la sua personalissima tenzone con la storia del fumetto. Quattro su dodici. Di questi tempi è davvero un’impresa: onore a chi ci riesce! Onore al testardo Recchioni e al ritrovato Dall’Agnol.
Se Dylan vive è anche grazie a loro.
RolandoVeloci



“Il cuore degli uomini” 
SERIE: DYLAN DOG
NUMERO: 342
DATA: febbraio 2015 
SERGIO BONELLI EDITORE 

SOGGETTO, SCENEGGIATURA: Roberto Recchioni
DISEGNI E CHINE: Pietro Dall’Agnol
COPERTINA: Angelo Stano 

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