Intervista a Stefano Casini

Una storia di un eroe...del fumetto italiano.



Stefano Casini, da noi recentemente premiato come miglior autore di graphic novel del 2012 per il volume “Di altre storie e di altri eroi”, risponde alle nostre domande sull’opera e sul mestiere di fumettista.

• Quali differenze trovi, nel metodo e come stimoli, tra lavorare a sceneggiature altrui e lavorare come autore completo?

Difficile fare paragoni, le dinamiche sono totalmente diverse, perché lavorare su testi miei vuol dire avere in testa un progetto che nasce chissà dove, che ti rimane in testa per mesi o addirittura anni, e con tutta una serie di presupposti e con coinvolgimenti che sono totalizzanti. Non ti limiti a pensare a degli ambienti o a dei personaggi che devi rappresentare morfologicamente, ma devi immaginarti psicologie, situazioni, atmosfere e complicità. E’ un modo completamente diverso di misurarti con il lavoro, sinceramente molto più appagante, anche perché ti metti in gioco in maniera totale ed è qualcosa a cui poi si rinuncia malvolentieri, e infatti sono sempre più orientato a realizzare storie mie. Potendo.

• Leggendo la tua opera ci sono tornati alla mente i grandi romanzi degli anni Trenta - Quaranta di maestri come Pavese, Vittorini, Calvino, Silone, Carlo Levi. 
Le letture di questi autori ti hanno ispirato in qualche misura? 
E in generale che peso hanno narrativa e poesia altrui nella tua esperienza artistica?

No, sinceramente, pur avendo letto alcuni di quegli autori (e comunque non di recente), non ho subito delle influenze da loro, o almeno non credo in modo così complice da attribuirgliene il merito. E’ ovvio che ogni stimolo che proviene dall’esterno è misurabile in ciò che viene rigettato nella propria creatività, ed è difficile riconoscerne le origini, anche perché credo sia proprio nella natura dell’idea, quella cioè di scaturire da un boccone digerito e fatto di molte altre cose. Dobbiamo cibarci di altro per riuscire a dire meglio quello che vogliamo raccontare, ma in questo caso, almeno nel mio ultimo libro, il “boccone” proviene da molto lontano, è la mia storia, è la mia gente, è il mio mondo.


• Quanto è stato importante il posto in cui sei nato come influenza per “Di altre storie e di altri eroi”? Credi che il soggetto sarebbe stato molto diverso se ambientato in un'altra provincia italiana?

Non è importante, è fondamentale ed indispensabile.
Senza questo sarebbe stata tutta un’altra cosa. Non so quanto tutto questo possa filtrare dalla lettura, ma c’è tutta la toscanità di cui è intrisa la mia cultura, la mia visione del mondo, i comportamenti, le disillusioni e le sdrammatizzazioni. Ma per altri versi anche la solarità, l’ottimismo e la generosità di quei tempi e quei luoghi anche se contraddistinti da stenti e ristrettezze, è normale che se fossi vissuto altrove sarebbe stata un’altra cosa, e mai come in un racconto del genere ci sarebbero state differenze sostanziali.
Poi, c’è una universalità negli accadimenti che ha fatto dichiarare a molti lettori di riconoscersi in situazioni analoghe, anche se le distanze geografiche erano abissali, segno evidente che le atmosfere, le situazioni, per quanto diverse e distanti avevano ed hanno uno stesso denominatore comune, ed oltre a darmi una grande soddisfazione, questo è l’esatto motivo per cui facciamo ciò che facciamo, ed è cioè il bisogno di cercare delle corrispondenze con il mondo.

• Come mai hai scelto di parlare di te e della tua famiglia proprio in quel contesto storico? Che cosa ti colpisce di quel periodo?

Il libro è nato solo ed esclusivamente per parlare di tutto questo, l’argomento è il motivo stesso della sua realizzazione.
Questo anche perché dopo il successo (o presunto tale) di quelle che oggi vengono definite graphic-novels, ed anni in cui ho letto racconti in cui molti colleghi raccontavano il loro vissuto, talvolta con circumnavigazioni ombelicari, mi sono detto che anch’io avevo qualcosa da raccontare, e ciò che avevo da raccontare poteva anche avere dei riscontri sociali e storici di qualche interesse.
Poi, a questo si è anche aggiunta la consapevolezza che attraverso i miei disegni avrei potuto raccontare ai miei figli quello che io avevo avuto modo di scoprire da racconti orali dei parenti, ma che loro, per i cambiamenti di costume e la lontananza di certe situazioni dalla contemporaneità, non avevano avuto modo di conoscere, e questa è stata la molla definitiva che mi ha convinto a realizzare “Di altre storie e di altri eroi”.





• Emerge una tua visione molto umana - che abbiamo apprezzato - sia del fatto bellico che dei protagonisti di quell'evento. Pensi che a qualcuno possa aver dato fastidio il tuo simpatizzare (alla latina: soffrire insieme) con i vinti, gli sconfitti e la tua poco celata ammirazione per i vincitori e i loro atteggiamenti?

Se ha dato fastidio non lo so e mi dispiace per chi non condivide questo punto di vista, ma io, nonostante tutto, appartengo alla generazione che ha vissuto con film che inneggiavano ai cavalleggeri che sconfiggevano gli indiani, agli alleati che da eroi vincevano i nazisti, una generazione che quando giocava, giocava alla “guerra” con pistole e mitragliatori quando era in prima persona, o con i soldatini quando gli atti di eroismo erano “da tavolo”, in una continua sorta di contrapposizione tra bene e male, dicotomica e manichea che semplificava certi schieramenti e convinzioni. Ma appartengo anche a quella generazione in cui c’è stato un revisionismo storico che ha dimostrato che certi selvaggi erano i depositari di territori da secoli e che con la forza sono stati ridotti all’impotenza, che l’arroganza della forza e della ricchezza (ma quasi sempre la convenienza) faceva invadere territori con la “scusa” di aiutare gli amici, la generazione che aspirava ad un miglioramento della società fatta di responsabilizzazione e di democrazia, e che vedeva la guerra solo come un’espressione di violenza e con degli sconfitti che non sempre avevano “torto”, abituandoci così a parteggiare spesso per i più deboli ed indifesi.
Vizi di un epoca.
Poi ho avuto buoni maestri, persone che sono riuscite a farmi capire che gli atti di eroismo e di codardia sono sempre stati suddivisi in parti più o meno uguali su ogni fronte, a tutte le latitudini e in tutti i modi, ed alla fine evidentemente questi concetti devono essere arrivati in profondità.
In fondo, la breve storia di mio padre di fronte al cadavere del tedesco l’ho raccontata esattamente come lui l’aveva sempre raccontata a me, e l’impressione che deve avergli fatto il volto di quel giovanetto suo coetaneo che probabilmente aveva parenti a casa che lo aspettavano, è rimasto scolpito nella mia memoria così com’era rimasto scolpito nella sua.
E quando riconosci nell’altro una parte di te stesso, è facile lasciare emergere l’umanità.

• La casa editrice Tunuè con cui hai pubblicato quest'opera, dopo tanti autori internazionali come Paco Roca, Alfred e Tony Sandoval, pare rivolgersi ad autori italiani come Stefano Simeone, Luigi Ricca ed ora Stefano Casini.
Come sei venuto a contatto con loro? Sei soddisfatto di questo sodalizio?

Avevano già da tempo pubblicato autori italiani, comunque la cosa è stata piuttosto semplice, oramai sono nell’ambiente da anni e sapevo e conoscevo le cose che realizzava Tunuè, per la tipologia del racconto e l’impostazione che avevano come casa editrice e le loro caratteristiche mi sembravano giusti per questo progetto.
E’ stato facile trovare una strada comune da percorrere insieme.



• Quali sono i tuoi progetti futuri? Ti rivedremo su Nathan Never? Hai già in cantiere un nuovo romanzo a fumetti?

Non è ancora in cantiere un nuovo romanzo ma ci sto ragionando sopra, avrà delle radici analoghe ma sarà impostato tutto su personaggi completamente di fantasia, anche se con legami simili. Ma non è cosa di domani, dovremo aspettare un bel po’.
Per quanto riguarda Nathan , entro l’anno mi piacerebbe finire una storia che staziona sulla mia scrivania da tempo, troppo per la verità, in modo da terminarla definitivamente, perché è giusto tenere vivi i legami con il personaggio che mi ha dato così tanto. 
Ho una proposta interessante di uno sceneggiatore francese a cui ho dato la mia disponibilità. 
E sto proponendo in Francia una serie di ambientazione storica in quattro volumi (ahimè, perfino troppi), e vedremo che possibilità di realizzazione possono avere.
Questa abbondanza di roba è una costante di questi ultimi anni, e l’unico modo per poter gestirla è quello di trattare il tutto con molta calma (che tra l’altro non è neanche tra le mie caratteristiche, anzi), nell’attesa che ogni casella si vada a posizionare al suo posto.
Calma, eh?…facile a dirsi!




• C'è qualcosa del tuo passato lavorativo cui oggi ripensi con rammarico o sei sempre fiero di ciò che hai realizzato?

Fiero è un aggettivo improprio, la fierezza si accompagna ad una baldanza un po’ sfrontata che non è molto adatta a consuntivi ed a scelte, tuttavia, una delle caratteristiche che mi hanno guidato in questi anni di carriera è stata quella di mantenere la barra di navigazione solo sulle cose che mi piaceva fare, senza troppe implicazioni economiche o di calcolo, se non quelle derivanti dalla mia soddisfazione personale, e cercando di dare risposte alla mia continua voglia di cambiare.
In tutta la mia vita lavorativa ed in tutte le scelte conseguenti, la mia attenzione è sempre stata rivolta a non creare dei presupposti al “rimpianto”, l’unica cosa che davvero mi ha sempre spaventato. Fino ad adesso, con alti e bassi, con cose migliori ed altre meno riuscite, devo dire che, almeno sul piano lavorativo non ho rimpianti, neanche del periodo antecedente alla professione del fumettista.
Diciamo che sono moderatamente soddisfatto.

• Come vedi il futuro del fumetto? In che modo cambieranno i modi di farlo e di leggerlo secondo te?

Temevo questa domanda, perché oramai in un contesto del genere è diventato un rituale ineludibile, oltre che una scelta obbligata.
Quella che mi piacerebbe dare è: -Si tratta di passare un periodo di difficoltà nell’attesa dei tempi di un nuovo Rinascimento del Fumetto.
Quella più moderna è: -Tutto si trasformerà nel digitale ed il futuro sarà sul web, con maggior democrazia ed un offerta più vasta e senza confini.
Quella del critico: -Si devono migliorare i contenuti se si pretende una rinascita del medium.
Quella dell’insegnante: -Ci sarà posto per tutti, ma bisogna essere bravi.
Ma la risposta più sincera è: -Non lo so.
La realtà dice altre cose.
I lettori diminuiscono sempre di più, i giovani sono attratti da altre forme di intrattenimento, senza togliere che la lettura in genere sta perdendo il suo appeal in tutte le sue forme.



Il web è una promessa, che tutti sperano si trasformi in una realtà ed io per primo, ma in sé nasconde una serie di insidie estremamente pericolose e che in altri settori hanno fatto già danno.
Nella musica si scarica già di tutto e non si vendono più CD, gli unici introiti dei musicisti (per chi riesce ad essere trainante) sono i concerti (ed hanno il vantaggio di eseguire una forma d’arte comunque legata alla performance), ma per gli altri?
La pirateria e l’abitudine ad avere servizi gratuiti sta abituando i pubblico a rivolgersi al web come solutore dei problemi e come unica risposta a certe istanze, con una falsa idea di democrazia che invece nasconde la vastità acritica del tutto ed il contrario di tutto, con la falsa idea che avere tutto gratis risolva le nostre necessità.
Ma perché si deve produrre se nessuno è più disposto ad acquistare il prodotto?
Ma soprattutto, chi costruisce il prodotto se nessuno lo paga per realizzarlo?
Altre domande.
Di tutte quelle che mi avete fatto, forse questa è l’unica alla quale si può rispondere con un’altra domanda. Perché risposte credibili non ce ne sono.



Ringraziamo Stefano Casini per la gentilezza e la profondità, e per aver risposto in maniera corposa ed esauriente a questa nostra discussione telematica.
Rolandoveloci+Giuppo



Piccola gallery per continuare ad apprezzare la bravura di Stefano Casini.








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